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THE UNIQUE WINE EXPERIENCE

FINE TASTE

“Con Winefully vogliamo offrire alle cantine e ai nostri clienti
un posto speciale dove il vino non viene solo venduto, ma anche
raccontato e vissuto, come vettore di emozioni intense e socialità"

Marcello Russo – Founder 

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DAL NOSTRO MAGAZINE

GLI ORANGE WINE TRA SPIGOLI E SINTONIE

Se dovessimo raccontare in sintesi cosa sono gli orange wine, o macerati, potremmo dire che si tratta di vini prodotti partendo da uve bianche, ma utilizzando il processo produttivo dei rossi, ovvero tenendo le bucce a contatto con il mosto. Il tempo di questo contatto è variabile: può andare da alcune ore a diversi mesi

Da qualche anno c’è un interesse crescente per questa tipologia di vini, che a primo impatto possono far pensare a un fenomeno nuovo. In realtà gli orange wine hanno origini antichissime, si parla di migliaia di anni fa. Da sempre, in Georgia, vengono prodotti utilizzando i kvevri, tradizionali anfore in terracotta tipiche della regione. Non si tratta dell’unica zona che ha un legame storico con i macerati. Anche l’area che si sviluppa intorno al confine tra Friuli e Slovenia ha una stretta connessione con gli orange wine.Questa zona geografica, in particolare, ha avuto un ruolo fondamentale nella riscoperta di questo particolare metodo produttivo.orange-wine

Negli ultimi anni si è detto molto sui macerati. Spesso sono stati inquadrati come vini estremi, come la scelta giusta quando si vuole provare qualcosa di audace, magari anche un po’ ostico. Come vini difficili, in poche parole. Da un lato questa prospettiva ha un fondo di verità. La presenza dei tannini, dovuta al contatto con le bucce, porta al vino una terza dimensione fatta di durezze e spigoli. Il connubio uve bianche e macerazione, inoltre, dà al vino sentori che per molti possono risultare selvaggi, o poco familiari. Altro punto: spesso i macerati, soprattutto nel caso di contatto con le bucce prolungato per mesi, risultano vini materici, di grande consistenza. Tanto che qualcuno, scherzosamente, a volte li chiama vini “mangia e bevi”.

Questa struttura importante, dall’altro lato, apre un tema ugualmente significativo e meno evidenziato: gli orange wine sono molto versatili, soprattutto quando si tratta di cibo e abbinamenti. Le ragioni di questa adattabilità sono molteplici. Una, appena citata, è certamente quella del corpo. Una struttura più presente rispetto a quella dei classici bianchi permette ai vini macerati di uscire dai perimetri di abbinamento più comuni, che li vogliono accostati principalmente a piatti delicati, spesso a base di pesce.

I tempi di macerazione, e la relativa intensità che ne deriva, sono determinanti per valutare precisamente gli abbinamenti più indicati. Possiamo dire, ad esempio, che spesso si tratta di una buona scelta per le carni bianche e i formaggi di media e lunga stagionatura. Andando più nello specifico dei vini caratterizzati da lunghe macerazioni, un punto fondamentale è l’intensità che ne deriva.

Proprio questa intensità apre svariate opportunità di abbinamento, che in alcune circostanzepuò risolvere casi di accostamenti complessi. È il caso, ad esempio, dei piatti speziati, tipici della cucina orientale. Un orange wine di buona intensità spesso ha le caratteristiche giuste per sostenere il confronto con un’altra intensità importante, quella delle spezie appunto. L’importante, in questo caso, è tenere d’occhio i tannini; se troppo accentuati, con i loro spigoli potrebbero entrare in conflitto con la personalità spiccata delle speziepiatti-di-cucina-orientale

Un tema importantissimo è poi quello della temperatura. Giocare con i gradi centigradi, nel mondo dei macerati, può dare risultati interessanti. Partendo dal presupposto che la temperatura di servizio di questi vini si aggira intorno ai 15 gradi, bisogna tener conto che temperature più basse enfatizzano le durezze, quindi acidità, sapidità e tannini, mentre temperature più elevate portano in evidenza le morbidezze, dunque gli zuccheri, l’alcol e la componente glicerica. Se questo accade per qualsiasi tipo di vino, con gli orange wine l’ampiezza dei sentori che di dischiudono alle diverse temperature a mio avviso è davvero notevole.

Tanto che mi capita spesso, al ristorante, di scegliere per l’intera cena un solo vino, un orange wine, caratterizzato da un tempo di macerazione significativo. Servito fresco, per iniziare, può accompagnare tanti tipi di antipasti, ad esempio delle polpette di vitello. Man mano che il vino sale di temperatura, è come se gradualmente si rendesse adattabile ad ogni passaggio della cena. Un po’ meno freddo per accompagnare un primo, ad esempio della pasta fresca con un sugo d’anatra. E poi, con una temperatura ancora un po’ più alta, un secondo piatto importante, magari una carne anche di grande intensità, ad esempio l’agnello.

Come già detto, tutto è relativo alla quantità di tempo che il vino ha trascorso sulle bucce, e conseguentemente alla sua intensità. Nel caso di macerazioni meno marcate, gli accostamenti vanno riconsiderati in modo proporzionale. Munjebel VA Bianco 2019 Di Frank Cornellissen può rappresentare un buon esempio. Nasce sulle pendici dell’Etna da un blend di uve autoctone a bacca bianca e la lavorazione prevede 4 giorni di macerazione. È un vino elegante, complesso, reso ancora più speciale dal fatto che la cuvée proviene interamente da vecchie viti a piede franco che hanno tra i 60 e i 90 anni. Il contatto con le bucce è un tocco garbato che va ad accentuare ulteriormente le caratteristiche di ampiezza e finezza. E in questo caso specifico, tornando a parlare di cibo, la scelta giusta può ricadere nel mondo delle carni bianche oppure in quello del pesce, ad esempio con una zuppa alla mediterranea.


Graziano Nani

Oltre 15 anni in comunicazione, oggi Graziano Nani è Branded Content Lead in Chora, dove si occupa di podcast. Sommelier Ais, scrive per Intravino e su Instagram cura @HellOfaWine. Insegna comunicazione del vino all’Università Cattolica. Si occupa dello stesso tema nel podcast “La Retroetichetta”, di cui è co-autore, e con speech a eventi dedicati.

ZUCCHERO CHIAMA ZUCCHERO: I VINI DA ABBINARE AI DOLCI DI NATALE.

Le feste natalizie sono uniche anche perché, per molti, è il momento giusto per concedersi qualcosa di speciale a tavola. Salumi particolari, magari quel caviale da gustare una volta ogni tanto, oppure un buon torrone lavorato a mano o un panettone artigianale. Il mondo dei dolci natalizi, in particolare, è decisamente ricco di alternative tra cui scegliere per chiudere un pranzo o una cena a casa.
A volte si tende a pensare che un Brut Metodo Classico, oltre a essere perfetto per aprire il pasto, può essere una buona alternativa anche da abbinare al dessert. La verità è che in questo caso uno spumante può funzionare solo se presenta una certa quantità di residuo zuccherino. Uno spumante demi-sec, ad esempio, ci può stare, perché i suoi zuccheri oscillano tra i 33 e i 50 grammi per litro; così come uno spumante dolce, dove si supera la soglia dei 50 gr/l.
Senza entrare negli aspetti tecnici, è sufficiente tenere a mente una formula molto semplice: dolce chiama dolce. Non si tratta di un principio assoluto ed esistono tante eccezioni, ad esempio quando si parla di cioccolato fondente, ma è una buona regola base. Non solo per evitare accostamenti poco riusciti, ma anche per non sprecare una bottiglia di pregio, magari quel Metodo Classico conservato mesi e mesi in attesa dell’occasione giusta. È un rischio tipico delle feste, e non accade solo con gli spumanti: abbiamo una bottiglia di valore da parte, aspettiamo da tempo l’occasione giusta per aprirla, e presi dall’entusiasmo del clima natalizio non pensiamo all’abbinamento, perdendo l’occasione di valorizzarla come merita. Dunque a fine pasto, per non sbagliare, ricordiamo che si può sempre assecondare la presenza dello zucchero con altro zucchero. Tecnicamente è quello che si chiama abbinamento per concordanza, alternativa all’accostamento per contrapposizione. La formula non riguarda solo gli spumanti, ma tutti i vini dolci. Tra questi, in particolare, ci sono i passiti, di cui l’Italia è ricchissima a tutte le latitudini, dall’Alto Adige a Pantelleria. Si tratta di vini realizzati attraverso la lavorazione di acini appassiti. L’appassimento può avvenire in pianta, con una vendemmia tardiva che innesca un processo di surmaturazione, oppure dopo la raccolta dell’uva, lasciando disidratare gli acini per un certo periodo di tempo. Quello che si cerca attraverso l’appassimento è una maggior concentrazione diaromi e zuccheri, che si ritroverà poi anche nel bicchiere dopo la lavorazione. Per accostare bene un vino a un dessert non basta scegliere un passito qualsiasi. Anche questo tipo di abbinamento richiede qualche considerazione e permette di giocare tra un ventaglio di opzioni e interpretazioni. Un fattore da tener presente è quello della struttura del dolce che andremo a mangiare. Una torta paradiso, ad esempio, ha una struttura molto diversa rispetto a quella di un panforte, decisamente più importante, dove abbiamo tra gli ingredienti il miele, le mandorle, la frutta candita e diverse spezie. Se nel primo caso possiamo optare per un vino delicato, ad esempio un Moscato d’Asti, nel secondo caso la scelta può andare su un prodotto più strutturato, come ad esempio un Vin Santo. Un altro punto da considerare riguarda il livello di dolcezza, ovvero la quantità di zuccheri presenti nella ricetta, perché c’è dolce e dolce. Un plumcake allo yogurt, in questo senso, è molto diverso da una crostata alla confettura di albicocche. Nel primo caso uno spumante leggero da uve Malvasia può essere una buona soluzione. Nel secondo caso invece si può optare per uno Zibibbo passito che arriva dalla Sicilia, dove il clima caldo favorisce la dolcezza degli acini, e conseguentemente del prodotto finale. Continuando con i fattori da tenere a mente quando cerchiamo l’abbinamento giusto per un dolce, possiamo considerare anche la sua aromaticità. Questa può derivare dalle erbe aromatiche previste dalla ricetta, oppure dal profumo intrinseco di uno specifico ingrediente. Un esempio può essere quello, inconfondibile, dei canditi nel panettone, caratterizzati appunto da spiccata aromaticità. In questo caso per l’abbinamento, sempre in una logica di concordanza, si può valutare un vino di
buona intensità. L’intensità, per intenderci, è quel parametro che descrive in termini quantitativi la forza con cui i sentori si esprimono al naso e al palato. Tipicamente presentano grande intensità diversi vini ottenuti da uve aromatiche come Moscato, Malvasia o Gewürztraminer. Proprio quest’ultima è alla base del passito Rechtenthaler Schlossleiten firmato dalla storica azienda altoatesina Hofstätter, ideale appunto da abbinare a un buon panettone. Un Gewürztraminer da vendemmia tardiva di grande spessore, che prende il nome da uno dei prestigiosi cru dei vigneti di proprietà. Caratteristica chiave è la sua sorprendente freschezza, decisamente sopra la media nella categoria dei vini dolci, e fondamentale per evitare di appesantire la fine di pasti che a Natale possono risultare già di per sé impegnativi. Anche il ridotto contenuto di alcol, intorno al 7%, aiuta a delineare un profilo snello ed elegante. Al naso miele ed erbe aromatiche, in bocca albicocche, pere e agrumi canditi. La lunghissima persistenza connota questo Gewürztraminer come la scelta giusta per chiudere in bellezza un pranzo o una cena natalizia, con l’idea di portare con sé il più a lungo possibile il sapore dolce delle feste.

VITICOLTURA IN VERTICALE: VIAGGIO TRA I VIGNETI PIÙ ALTI D’EUROPA

Quanto in alto ci si può spingere in Europa con la coltivazione della vite? La domanda è più che mai attuale, visti gli effetti del cambiamento climatico e gli esperimenti sempre più frequenti per trovare nell’altitudine una delle risposte decisive. Sono diversi i vigneti che rivendicano il primato di essere i più alti nel vecchio continente. Lo scopo qui non è tanto quello di decretare il vincitore dal punto di vista orografico, o compilare una lista esaustiva, quanto quello di citare alcuni di questi casi, e delineare alcuni tratti distintivi che caratterizzano le vigne in quota e i vini che ne derivano.
Il sud Spagna, con la catena montuosa de La Contraviesa, sembra quella che è riuscita a toccare le altitudini più elevate. Siamo vicino al Parco Nazionale della Sierra Nevada, a sud-est di Granada, all’impressionante quota di 1.368 metri sul livello del mare, mitigata dai venti caldi che provengono dal mare di Alboran. Qui l’azienda Barranco Oscuro coltiva 10 ettari di terreno, un’estensione non banale per condizioni tanto estreme. Tra i vitigni coltivati ci sono sia una serie di autoctoni, sia alcuni internazionali tra cui Pinot Nero e Merlot.
In Alto Adige, precisamente nell’alta Val Venosta, esiste un altro luogo che sfiora le quote dello spagnolo appena citato. Qui l’azienda Calvenschlössl cura diversi vigneti, tra cui uno molto speciale. Si chiama Marienberg, ed è stato l’omonimo monastero benedettino a concedere il terreno perché potesse essere coltivato.L’incredibile altitudine dove cresce il vitigno Solaris è quella di 1.340 metri sul livello del mare, davvero un soffio dal titolo di vigneto più alto d’Europa. Si tratta di luoghi di incredibile fascino, dove la storia millenaria del monastero benedettino si fonde con scenari scoscesi dalla bellezza folgorante, e il lago di Resia spicca con le sue acque cristalline.

Sempre in Italia, ma a tutt’altra latitudine, la viticoltura vola fino a 1.300 metri sul livello del mare. Siamo in Calabria, a Cava di Melis, un piccolo paese nel cuore del Parco Nazionale della Sila, nel comune di Longobucco. L’azienda si chiama Immacolata Pedace, coltiva diversi vitigni internazionali tra cui Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot, Pinot bianco e Chardonnay. La viticoltura ad altezze così proibitive, in questo caso, è resa possibile da un incrocio delicato di fattori, tra cui la presenza del lago Cecita, che con il suo influsso agisce da elemento mitigante, permettendo di superare i rigidi inverni in cui le temperature arrivano anche a 20 gradi sotto lo zero.Tornando a nord, anche la Valle D’Aosta è conosciuta per le altitudini impressionanti della sua viticoltura. Siamo a 1.210 metri, nella parte nord-ovest della regione, dove nasce il noto Blanc de Morgex et de La Salle, prodotto con uve Prié Blanc. La cantina si chiama Cave Mont Blanc, oggi conta circa 80 soci, ciascuno dei quali coltiva un piccolo vigneto ai piedi del Monte Bianco.Tornando in Alto Adige, e in particolare nella Valle di Non, una realtà davvero interessante è Vin de la Neu, guidata da Nicola Biasi, enologo conosciuto internazionalmente per la capacità di far crescere e affermare sul mercato diverse realtà italiane.

Nicola, oltre dieci anni fa, decide di impiantare a oltre 800 metri di altitudine la varietà resistente Johanniter: il 2013 è l’anno della prima vendemmia. Uno dei punti più interessanti del lavoro di Vin de la Neu è la sperimentazione che oggi, attraverso scienza e conoscenza, permette di produrre vini ad altitudini più elevate rispetto al passato. Uno dei tasselli fondamentali che consente di raggiungere questo obiettivo è lo studio delle varietà resistenti, come appunto la Johanniter. I risultati che danno dal punto di vista agronomico contro le malattie fungine, e non solo, sono davvero straordinari. Questo, naturalmente, permette una totale assenza di trattamenti in vigna, e dunque di portare avanti una viticoltura che davvero si può definire sostenibile e rispettosa del territorio che la accoglie.
Il risultato nel bicchiere è tangibile e inequivocabile. Quelli di Nicola sono vini di grandissima purezza e pulizia, caratterizzati da un’espressività che lascia il segno. L’annata 2017 di Vin de la Neu, in particolare, si caratterizza per il rigore e la freschezza che deriva dall’ambiente montano dove nasce. L’arancia, l’ananas e alcune interessanti sfumature erbacee, si uniscono a una gamma di sentori appartenenti al mondo minerale, come la grafite. A questi si aggiungono screziature di profumi terziari, tra cui si distinguono sfumature di idrocarburi e riverberi iodati. Un sorso teso, ricco e perfettamente a fuoco, che contiene in nuce l’anima di un progetto innovativo che fa dell’armonia con l’ambiente montano la propria cifra distintiva.