THE UNIQUE WINE EXPERIENCE

FINE TASTE

“Con Winefully vogliamo offrire alle cantine e ai nostri clienti un posto speciale dove il vino non viene solo venduto, ma anche raccontato e vissuto, come vettore di emozioni intense e socialità”

Marcello Russo – Founder

IN PRIMO PIANO

DAL NOSTRO MAGAZINE

MAZZON E IL PINOT NERO IN ALTO ADIGE

Parlando di Pinot Nero è interessante provare a capire perché sia così amato, ricercato, e in qualche modo venerato dagli appassionati di tutto il mondo. Parte del fascino nasce dal fatto che si tratta di un vitigno particolarmente difficile da coltivare. È una varietà delicata, precoce, tutt’altro che versatile, anzi, adatta soltanto ad alcuni particolari luoghi e climi. Il punto è che quando sussistono le giuste condizioni, compresa la mano di uomini capaci di valorizzare il vitigno, i risultati possono raggiungere livelli straordinari. Il Pinot Nero ha inoltre la particolare capacità di restituire le caratteristiche di zone anche molto piccole, e delle micro-differenze che esistono tra loro, in maniera precisa e sfaccettata. Basta un dislivello di pochi metri, o una minima discrepanza a livello di suoli, e due parcelle anche molto vicine possono portare nel bicchiere vini essenzialmente diversi.

La patria di questo vitigno è la Francia e in particolare la Borgogna, dove arriva a esprimere i livelli qualitativi più elevati. Lo si può trovare poi in diverse altre zone del mondo caratterizzate da climi freschi ed escursioni termiche importanti. Tra queste la Germania, l’Austria, il Sud Africa, il Canada, l’Australia, la Nuova Zelanda e gli Stati Uniti, soprattutto in Oregon e California. Anche in Italia si può trovare in diverse regioni. Nell’Oltrepò Pavese, dove storicamente viene utilizzato per produrre gli spumanti, così come in Franciacorta. In Friuli, in Toscana, in Umbria, Marche e Abruzzo. Ultimamente si è diffuso anche al sud, in Campania, Basilicata e Sicilia, nella zona dell’Etna. E poi si trova un po’ ovunque sull’arco alpino: in Alto Adige, in particolare, dove viene chiamato anche Blauburgunder, diversi produttori hanno saputo dare vita a etichette che spiccano per stoffa ed espressività.

Il Pinot Nero è una presenza storica in Alto Adige, dove viene coltivato da oltre due secoli. Per descrivere i picchi qualitativi che è in grado di raggiungere in questa regione bisogna esplorare la zona dei borghi di Egna e di Montagna, e in particolare l’altopiano di Mazzon. Qui, a un’altitudine compresa tra i 250 e i 450 metri circa, si trova il Vigneto Mazzon, dove verso la metà del Novecento alcuni produttori hanno iniziato a concentrarsi proprio su questo vitigno. Stiamo parlando di un vigneto
che si estende per circa 60 ettari e vanta una posizione particolarmente felice per la coltivazione del Pinot Nero. Mazzon è esposto a ovest. Le montagne a nord svolgono una funzione importantissima, perché nelle prime ore del giorno proteggono dai raggi solari evitando che il calore sia eccessivo. Inoltre, riparano il vigneto dai venti più rigidi che provengono da nord e da est, lasciando campo invece all’Ora, la brezza mite che soffia dal Lago di Garda. Il vigneto gode poi di un’ottima quantità di luce, che si estende a lungo nel pomeriggio. Quando il sole cala le temperature si abbassano bruscamente, determinando quell’escursione termica fondamentale per la qualità del Pinot Nero.

Mazzon vede protagonisti circa una decina di produttori altoatesini, che riescono a ottenere risultati di notevole interesse. I vini dei diversi artigiani che lavorano il vigneto mostrano alcuni tratti comuni. Tra questi un frutto nitido, fresco e sprizzante, spesso intrecciato a note speziate, per un profilo complessivo in grado di dare soddisfazioni già dopo pochi anni, e al tempo stesso di moltiplicarle con il passare del tempo. Tra i nomi di queste realtà spicca Gottardi, oggi guidata da Elisabeth Gottardi, che negli anni Ottanta ha iniziato un lavoro specifico sul Pinot Nero, e nell’arco di una decade è riuscita a ottenere livelli di eccellenza assoluta.

Riserva Mazzon” viene prodotto dall’azienda esclusivamente nelle migliori annate, lavorando le uve dei vigneti più vecchi. 100% Pinot Nero, matura un anno in barriques nuove e 14 mesi in botti grandi, per poi affinare 6 mesi in bottiglia. Ne nasce un rosso complesso, tratto tipico dei vini che nascono da questo importante vigneto. Si presenta alla vista con un rosso brillante, lucente. Al naso profuma di frutti di bosco, con una particolare inclinazione verso la fragolina; sullo sfondo, spezie ed erbe officinali. In bocca articola una struttura ricca, con un tannino leggiadro, elegante, integrato a un profilo aromatico di grande ampiezza. Lungo, persistente, rintocchi freschi e sapidi di rincorrono e prolungano le sensazioni piacevoli al palato. Intrigante da subito, ha le caratteristiche giuste anche per restare in cantina ed evolvere nel tempo il proprio profilo.

 


Graziano Nani

Oltre 15 anni in comunicazione, oggi Graziano Nani è Branded Content Lead in Chora, dove si occupa di podcast. Sommelier AIS, scrive per Intravino e su Instagram cura @HellOfaWine. Insegna comunicazione del vino all’Università Cattolica. Si occupa dello stesso tema nel podcast “La Retroetichetta”, di cui è co-autore, e con speech a eventi dedicati.

SPUMANTI, DOSAGGIO ZERO ED EVOLUZIONE DEL GUSTO

Il mondo del gusto non è mai rimasto fermo, nel corso dei secoli ha vissuto un’evoluzione costante. Questi cambiamenti riguardano da sempre sia l’ambito del vino, sia quello del cibo in generale. Gualtiero Marchesi, ad esempio, sull’onda della Nouvelle Cuisine ha portato una grande rivoluzione nel nostro Paese. Fino a quel momento la lavorazione degli ingredienti, con preparazioni anche molto elaborate, aveva un ruolo centrale. È proprio Marchesi in Italia a dare nuova dignità alle materie prime e alla qualità che le contraddistingue, aprendo la strada a uno stile inedito dove le preparazioni si semplificano, e gli ingredienti emergono con le loro caratteristiche intrinseche.

Lo stesso vale per il vino. Intorno agli anni Ottanta e Novanta molti appassionati amavano rossi corposi e molto strutturati, prodotti utilizzando botti piccole per far sì che i sentori del legno incidessero significativamente sul vino stesso. Anche la critica valorizzava quel tipo di etichette, e il mercato di conseguenza faceva lo stesso. Nei decenni il quadro è cambiato parecchio e oggi ci troviamo in un periodo in cui si sta consolidando una tendenza differente, per certi versi quasi opposta. Per descriverla bisogna fare un passo indietro. Il mondo della degustazione, tra i vari approcci, ne utilizza uno che divide i sentori del vino in durezze e morbidezze. Nel primo gruppo ci sono l’acidità, la sapidità e i tannini; nel secondo si trovano zuccheri, alcol e polialcoli. Questi ultimi comprendono la glicerina, fondamentale per dare al vino viscosità, dunque densità e morbidezza. Un vino ben fatto, tra le varie caratteristiche, presenta un equilibrio tra questi aspetti, o comunque una proporzione ragionata a monte. Chiarite queste due dimensioni, possiamo dire che da qualche anno esiste una tendenza a valorizzare le durezze. Lasciamo da parte i tannini, che derivano dall’utilizzo delle bucce nella fase di lavorazione del vino, e riguardano principalmente i vini rossi e i cosiddetti orange wine. Nelle enoteche si trovano sempre più spesso vini con maggior acidità e freschezza di un tempo, più sferzanti. Anche la sapidità è valorizzata: si può riflettere ad esempio in sentori iodati sottili, appena percepibili, oppure in note saline più nette e marcate.

Il mondo degli spumanti non è escluso da questa nuova ondata. Anzi, se parliamo di Metodo Classico in particolare, il tema
assume grande centralità. Questi vini sappiamo infatti che vengono classificati in base alla quantità di zuccheri residui che si trovano in bottiglia. Extra-dry, brut ed extra-brut, ad esempio, sono diciture che identificano una specifica quantità di residuo zuccherino. Possiamo dire che, per un gioco di equilibri tra le diverse dimensioni che abbiamo visto, in uno spumante con più zuccheri emergerà maggiormente la componente morbida. Viceversa, una quantità minore di zuccheri lascerà più spazio ad acidità e sapidità, dunque alle durezze.

Oggi, coerentemente con la tendenza di cui sopra, c’è un’attenzione sempre più grande per gli spumanti con presenza di zuccheri molto bassa, o addirittura pari a zero. La categoria viene chiamata dosaggio zero, o pas dosé; il nome deriva dal dosaggio del liqueur d’expédition, quello che appunto determina la quantità di zuccheri che rimarranno in bottiglia. Durezze più evidenti significa vini taglienti, con l’acidità in primo piano e la sapidità che può esprimersi con note salmastre, o legate al mondo dei minerali, tra cui ad esempio la grafite.

I pas dosé sono vini versatili, in grado di accompagnare diverse occasioni. Ad esempio quella dell’aperitivo, dove la freschezza gioca un ruolo fondamentale per godere di bevute senza abbinamento, o al limite accompagnate da stuzzichini leggeri. Anche per quanto riguarda i possibili accostamenti a pranzo e cena, i dosaggio zero presentano grande adattabilità e lasciano aperte molte porte. Ecco una possibile direzione, che parte dall’assenza o quasi di zuccheri, e quindi da una loro caratteristica di essenzialità. In questo senso, può essere interessante un abbinamento con piatti altrettanto essenziali come i crudi di pesce, magari delle tartare, improntati sulla qualità e sulla purezza della materia prima, che non viene nemmeno cucinata, ma solo condita delicatamente.

Uno dei produttori più interessanti nel mondo dello Champagne è Tarlant. Il suo “Zero Brut Nature“, in particolare, è prodotto con un blend di uve che comprendono Chardonnay, Pinot Meunier, Pinot Noir e altri vitigni antichi. La conduzione è biologica, con un grande rispetto della natura e un approccio che prevede il minor intervento possibile da parte dell’uomo.
Prima fermentazione in acciaio e affinamento in barrique per sei mesi, poi seconda fermentazione e risposo sui lieviti di almeno sei anni, infine la sboccatura fatta a mano. I profumi giocano tra il mondo dei fiori e quello degli agrumi, insieme a richiami di sensazioni più avvolgenti, come quelle del miele. In bocca mostra un perlage finissimo. E, naturalmente, una presenza in primo piano della dimensione delle durezze: acidità rinfrescante, e trama salina a fare da contrappunto. Ha una grande persistenza, con gli aromi che accompagnano lungamente il palato lasciando un bellissimo ricordo di questa maison artigianale oggi sempre più ricercata.

 


Graziano Nani

Oltre 15 anni in comunicazione, oggi Graziano Nani è Branded Content Lead in Chora, dove si occupa di podcast. Sommelier AIS, scrive per Intravino e su Instagram cura @HellOfaWine. Insegna comunicazione del vino all’Università Cattolica. Si occupa dello stesso tema nel podcast “La Retroetichetta”, di cui è co-autore, e con speech a eventi dedicati.

GLI ORANGE WINE TRA SPIGOLI E SINTONIE

Se dovessimo raccontare in sintesi cosa sono gli orange wine, o macerati, potremmo dire che si tratta di vini prodotti partendo da uve bianche, ma utilizzando il processo produttivo dei rossi, ovvero tenendo le bucce a contatto con il mosto. Il tempo di questo contatto è variabile: può andare da alcune ore a diversi mesi

Da qualche anno c’è un interesse crescente per questa tipologia di vini, che a primo impatto possono far pensare a un fenomeno nuovo. In realtà gli orange wine hanno origini antichissime, si parla di migliaia di anni fa. Da sempre, in Georgia, vengono prodotti utilizzando i kvevri, tradizionali anfore in terracotta tipiche della regione. Non si tratta dell’unica zona che ha un legame storico con i macerati. Anche l’area che si sviluppa intorno al confine tra Friuli e Slovenia ha una stretta connessione con gli orange wine.Questa zona geografica, in particolare, ha avuto un ruolo fondamentale nella riscoperta di questo particolare metodo produttivo.

Bicchieri visti dall'alto

Negli ultimi anni si è detto molto sui macerati. Spesso sono stati inquadrati come vini estremi, come la scelta giusta quando si vuole provare qualcosa di audace, magari anche un po’ ostico. Come vini difficili, in poche parole. Da un lato questa prospettiva ha un fondo di verità. La presenza dei tannini, dovuta al contatto con le bucce, porta al vino una terza dimensione fatta di durezze e spigoli. Il connubio uve bianche e macerazione, inoltre, dà al vino sentori che per molti possono risultare selvaggi, o poco familiari. Altro punto: spesso i macerati, soprattutto nel caso di contatto con le bucce prolungato per mesi, risultano vini materici, di grande consistenza. Tanto che qualcuno, scherzosamente, a volte li chiama vini “mangia e bevi”.

Questa struttura importante, dall’altro lato, apre un tema ugualmente significativo e meno evidenziato: gli orange wine sono molto versatili, soprattutto quando si tratta di cibo e abbinamenti. Le ragioni di questa adattabilità sono molteplici. Una, appena citata, è certamente quella del corpo. Una struttura più presente rispetto a quella dei classici bianchi permette ai vini macerati di uscire dai perimetri di abbinamento più comuni, che li vogliono accostati principalmente a piatti delicati, spesso a base di pesce.

I tempi di macerazione, e la relativa intensità che ne deriva, sono determinanti per valutare precisamente gli abbinamenti più indicati. Possiamo dire, ad esempio, che spesso si tratta di una buona scelta per le carni bianche e i formaggi di media e lunga stagionatura. Andando più nello specifico dei vini caratterizzati da lunghe macerazioni, un punto fondamentale è l’intensità che ne deriva.

Proprio questa intensità apre svariate opportunità di abbinamento, che in alcune circostanzepuò risolvere casi di accostamenti complessi. È il caso, ad esempio, dei piatti speziati, tipici della cucina orientale. Un orange wine di buona intensità spesso ha le caratteristiche giuste per sostenere il confronto con un’altra intensità importante, quella delle spezie appunto. L’importante, in questo caso, è tenere d’occhio i tannini; se troppo accentuati, con i loro spigoli potrebbero entrare in conflitto con la personalità spiccata delle spezie

Cucina asiatica

Un tema importantissimo è poi quello della temperatura. Giocare con i gradi centigradi, nel mondo dei macerati, può dare risultati interessanti. Partendo dal presupposto che la temperatura di servizio di questi vini si aggira intorno ai 15 gradi, bisogna tener conto che temperature più basse enfatizzano le durezze, quindi acidità, sapidità e tannini, mentre temperature più elevate portano in evidenza le morbidezze, dunque gli zuccheri, l’alcol e la componente glicerica. Se questo accade per qualsiasi tipo di vino, con gli orange wine l’ampiezza dei sentori che di dischiudono alle diverse temperature a mio avviso è davvero notevole.

Tanto che mi capita spesso, al ristorante, di scegliere per l’intera cena un solo vino, un orange wine, caratterizzato da un tempo di macerazione significativo. Servito fresco, per iniziare, può accompagnare tanti tipi di antipasti, ad esempio delle polpette di vitello. Man mano che il vino sale di temperatura, è come se gradualmente si rendesse adattabile ad ogni passaggio della cena. Un po’ meno freddo per accompagnare un primo, ad esempio della pasta fresca con un sugo d’anatra. E poi, con una temperatura ancora un po’ più alta, un secondo piatto importante, magari una carne anche di grande intensità, ad esempio l’agnello.

Come già detto, tutto è relativo alla quantità di tempo che il vino ha trascorso sulle bucce, e conseguentemente alla sua intensità. Nel caso di macerazioni meno marcate, gli accostamenti vanno riconsiderati in modo proporzionale. Munjebel VA Bianco 2019 Di Frank Cornellissen può rappresentare un buon esempio. Nasce sulle pendici dell’Etna da un blend di uve autoctone a bacca bianca e la lavorazione prevede 4 giorni di macerazione. È un vino elegante, complesso, reso ancora più speciale dal fatto che la cuvée proviene interamente da vecchie viti a piede franco che hanno tra i 60 e i 90 anni. Il contatto con le bucce è un tocco garbato che va ad accentuare ulteriormente le caratteristiche di ampiezza e finezza. E in questo caso specifico, tornando a parlare di cibo, la scelta giusta può ricadere nel mondo delle carni bianche oppure in quello del pesce, ad esempio con una zuppa alla mediterranea.


Graziano Nani

Oltre 15 anni in comunicazione, oggi Graziano Nani è Branded Content Lead in Chora, dove si occupa di podcast. Sommelier Ais, scrive per Intravino e su Instagram cura @HellOfaWine. Insegna comunicazione del vino all’Università Cattolica. Si occupa dello stesso tema nel podcast “La Retroetichetta”, di cui è co-autore, e con speech a eventi dedicati.