THE UNIQUE WINE EXPERIENCE
FINE TASTE
“Con Winefully vogliamo offrire alle cantine e ai nostri clienti un posto speciale dove il vino non viene solo venduto, ma anche raccontato e vissuto, come vettore di emozioni intense e socialità”
Marcello Russo – Founder
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DAL NOSTRO MAGAZINE
SPUMANTI, DOSAGGIO ZERO ED EVOLUZIONE DEL GUSTO
Il mondo del gusto non è mai rimasto fermo, nel corso dei secoli ha vissuto un’evoluzione costante. Questi cambiamenti riguardano da sempre sia l’ambito del vino, sia quello del cibo in generale. Gualtiero Marchesi, ad esempio, sull’onda della Nouvelle Cuisine ha portato una grande rivoluzione nel nostro Paese. Fino a quel momento la lavorazione degli ingredienti, con preparazioni anche molto elaborate, aveva un ruolo centrale. È proprio Marchesi in Italia a dare nuova dignità alle materie prime e alla qualità che le contraddistingue, aprendo la strada a uno stile inedito dove le preparazioni si semplificano, e gli ingredienti emergono con le loro caratteristiche intrinseche.
Lo stesso vale per il vino. Intorno agli anni Ottanta e Novanta molti appassionati amavano rossi corposi e molto strutturati, prodotti utilizzando botti piccole per far sì che i sentori del legno incidessero significativamente sul vino stesso. Anche la critica valorizzava quel tipo di etichette, e il mercato di conseguenza faceva lo stesso. Nei decenni il quadro è cambiato parecchio e oggi ci troviamo in un periodo in cui si sta consolidando una tendenza differente, per certi versi quasi opposta. Per descriverla bisogna fare un passo indietro. Il mondo della degustazione, tra i vari approcci, ne utilizza uno che divide i sentori del vino in durezze e morbidezze. Nel primo gruppo ci sono l’acidità, la sapidità e i tannini; nel secondo si trovano zuccheri, alcol e polialcoli. Questi ultimi comprendono la glicerina, fondamentale per dare al vino viscosità, dunque densità e morbidezza. Un vino ben fatto, tra le varie caratteristiche, presenta un equilibrio tra questi aspetti, o comunque una proporzione ragionata a monte. Chiarite queste due dimensioni, possiamo dire che da qualche anno esiste una tendenza a valorizzare le durezze. Lasciamo da parte i tannini, che derivano dall’utilizzo delle bucce nella fase di lavorazione del vino, e riguardano principalmente i vini rossi e i cosiddetti orange wine. Nelle enoteche si trovano sempre più spesso vini con maggior acidità e freschezza di un tempo, più sferzanti. Anche la sapidità è valorizzata: si può riflettere ad esempio in sentori iodati sottili, appena percepibili, oppure in note saline più nette e marcate.
Il mondo degli spumanti non è escluso da questa nuova ondata. Anzi, se parliamo di Metodo Classico in particolare, il tema
assume grande centralità. Questi vini sappiamo infatti che vengono classificati in base alla quantità di zuccheri residui che si trovano in bottiglia. Extra-dry, brut ed extra-brut, ad esempio, sono diciture che identificano una specifica quantità di residuo zuccherino. Possiamo dire che, per un gioco di equilibri tra le diverse dimensioni che abbiamo visto, in uno spumante con più zuccheri emergerà maggiormente la componente morbida. Viceversa, una quantità minore di zuccheri lascerà più spazio ad acidità e sapidità, dunque alle durezze.
Oggi, coerentemente con la tendenza di cui sopra, c’è un’attenzione sempre più grande per gli spumanti con presenza di zuccheri molto bassa, o addirittura pari a zero. La categoria viene chiamata dosaggio zero, o pas dosé; il nome deriva dal dosaggio del liqueur d’expédition, quello che appunto determina la quantità di zuccheri che rimarranno in bottiglia. Durezze più evidenti significa vini taglienti, con l’acidità in primo piano e la sapidità che può esprimersi con note salmastre, o legate al mondo dei minerali, tra cui ad esempio la grafite.
I pas dosé sono vini versatili, in grado di accompagnare diverse occasioni. Ad esempio quella dell’aperitivo, dove la freschezza gioca un ruolo fondamentale per godere di bevute senza abbinamento, o al limite accompagnate da stuzzichini leggeri. Anche per quanto riguarda i possibili accostamenti a pranzo e cena, i dosaggio zero presentano grande adattabilità e lasciano aperte molte porte. Ecco una possibile direzione, che parte dall’assenza o quasi di zuccheri, e quindi da una loro caratteristica di essenzialità. In questo senso, può essere interessante un abbinamento con piatti altrettanto essenziali come i crudi di pesce, magari delle tartare, improntati sulla qualità e sulla purezza della materia prima, che non viene nemmeno cucinata, ma solo condita delicatamente.
Uno dei produttori più interessanti nel mondo dello Champagne è Tarlant. Il suo “Zero Brut Nature“, in particolare, è prodotto con un blend di uve che comprendono Chardonnay, Pinot Meunier, Pinot Noir e altri vitigni antichi. La conduzione è biologica, con un grande rispetto della natura e un approccio che prevede il minor intervento possibile da parte dell’uomo.
Prima fermentazione in acciaio e affinamento in barrique per sei mesi, poi seconda fermentazione e risposo sui lieviti di almeno sei anni, infine la sboccatura fatta a mano. I profumi giocano tra il mondo dei fiori e quello degli agrumi, insieme a richiami di sensazioni più avvolgenti, come quelle del miele. In bocca mostra un perlage finissimo. E, naturalmente, una presenza in primo piano della dimensione delle durezze: acidità rinfrescante, e trama salina a fare da contrappunto. Ha una grande persistenza, con gli aromi che accompagnano lungamente il palato lasciando un bellissimo ricordo di questa maison artigianale oggi sempre più ricercata.
Graziano Nani
Oltre 15 anni in comunicazione, oggi Graziano Nani è Branded Content Lead in Chora, dove si occupa di podcast. Sommelier AIS, scrive per Intravino e su Instagram cura @HellOfaWine. Insegna comunicazione del vino all’Università Cattolica. Si occupa dello stesso tema nel podcast “La Retroetichetta”, di cui è co-autore, e con speech a eventi dedicati.
GLI ORANGE WINE TRA SPIGOLI E SINTONIE
Se dovessimo raccontare in sintesi cosa sono gli orange wine, o macerati, potremmo dire che si tratta di vini prodotti partendo da uve bianche, ma utilizzando il processo produttivo dei rossi, ovvero tenendo le bucce a contatto con il mosto. Il tempo di questo contatto è variabile: può andare da alcune ore a diversi mesi
Da qualche anno c’è un interesse crescente per questa tipologia di vini, che a primo impatto possono far pensare a un fenomeno nuovo. In realtà gli orange wine hanno origini antichissime, si parla di migliaia di anni fa. Da sempre, in Georgia, vengono prodotti utilizzando i kvevri, tradizionali anfore in terracotta tipiche della regione. Non si tratta dell’unica zona che ha un legame storico con i macerati. Anche l’area che si sviluppa intorno al confine tra Friuli e Slovenia ha una stretta connessione con gli orange wine.Questa zona geografica, in particolare, ha avuto un ruolo fondamentale nella riscoperta di questo particolare metodo produttivo.
Negli ultimi anni si è detto molto sui macerati. Spesso sono stati inquadrati come vini estremi, come la scelta giusta quando si vuole provare qualcosa di audace, magari anche un po’ ostico. Come vini difficili, in poche parole. Da un lato questa prospettiva ha un fondo di verità. La presenza dei tannini, dovuta al contatto con le bucce, porta al vino una terza dimensione fatta di durezze e spigoli. Il connubio uve bianche e macerazione, inoltre, dà al vino sentori che per molti possono risultare selvaggi, o poco familiari. Altro punto: spesso i macerati, soprattutto nel caso di contatto con le bucce prolungato per mesi, risultano vini materici, di grande consistenza. Tanto che qualcuno, scherzosamente, a volte li chiama vini “mangia e bevi”.
Questa struttura importante, dall’altro lato, apre un tema ugualmente significativo e meno evidenziato: gli orange wine sono molto versatili, soprattutto quando si tratta di cibo e abbinamenti. Le ragioni di questa adattabilità sono molteplici. Una, appena citata, è certamente quella del corpo. Una struttura più presente rispetto a quella dei classici bianchi permette ai vini macerati di uscire dai perimetri di abbinamento più comuni, che li vogliono accostati principalmente a piatti delicati, spesso a base di pesce.
I tempi di macerazione, e la relativa intensità che ne deriva, sono determinanti per valutare precisamente gli abbinamenti più indicati. Possiamo dire, ad esempio, che spesso si tratta di una buona scelta per le carni bianche e i formaggi di media e lunga stagionatura. Andando più nello specifico dei vini caratterizzati da lunghe macerazioni, un punto fondamentale è l’intensità che ne deriva.
Proprio questa intensità apre svariate opportunità di abbinamento, che in alcune circostanzepuò risolvere casi di accostamenti complessi. È il caso, ad esempio, dei piatti speziati, tipici della cucina orientale. Un orange wine di buona intensità spesso ha le caratteristiche giuste per sostenere il confronto con un’altra intensità importante, quella delle spezie appunto. L’importante, in questo caso, è tenere d’occhio i tannini; se troppo accentuati, con i loro spigoli potrebbero entrare in conflitto con la personalità spiccata delle spezie
Un tema importantissimo è poi quello della temperatura. Giocare con i gradi centigradi, nel mondo dei macerati, può dare risultati interessanti. Partendo dal presupposto che la temperatura di servizio di questi vini si aggira intorno ai 15 gradi, bisogna tener conto che temperature più basse enfatizzano le durezze, quindi acidità, sapidità e tannini, mentre temperature più elevate portano in evidenza le morbidezze, dunque gli zuccheri, l’alcol e la componente glicerica. Se questo accade per qualsiasi tipo di vino, con gli orange wine l’ampiezza dei sentori che di dischiudono alle diverse temperature a mio avviso è davvero notevole.
Tanto che mi capita spesso, al ristorante, di scegliere per l’intera cena un solo vino, un orange wine, caratterizzato da un tempo di macerazione significativo. Servito fresco, per iniziare, può accompagnare tanti tipi di antipasti, ad esempio delle polpette di vitello. Man mano che il vino sale di temperatura, è come se gradualmente si rendesse adattabile ad ogni passaggio della cena. Un po’ meno freddo per accompagnare un primo, ad esempio della pasta fresca con un sugo d’anatra. E poi, con una temperatura ancora un po’ più alta, un secondo piatto importante, magari una carne anche di grande intensità, ad esempio l’agnello.
Come già detto, tutto è relativo alla quantità di tempo che il vino ha trascorso sulle bucce, e conseguentemente alla sua intensità. Nel caso di macerazioni meno marcate, gli accostamenti vanno riconsiderati in modo proporzionale. Munjebel VA Bianco 2019 Di Frank Cornellissen può rappresentare un buon esempio. Nasce sulle pendici dell’Etna da un blend di uve autoctone a bacca bianca e la lavorazione prevede 4 giorni di macerazione. È un vino elegante, complesso, reso ancora più speciale dal fatto che la cuvée proviene interamente da vecchie viti a piede franco che hanno tra i 60 e i 90 anni. Il contatto con le bucce è un tocco garbato che va ad accentuare ulteriormente le caratteristiche di ampiezza e finezza. E in questo caso specifico, tornando a parlare di cibo, la scelta giusta può ricadere nel mondo delle carni bianche oppure in quello del pesce, ad esempio con una zuppa alla mediterranea.
Graziano Nani
Oltre 15 anni in comunicazione, oggi Graziano Nani è Branded Content Lead in Chora, dove si occupa di podcast. Sommelier Ais, scrive per Intravino e su Instagram cura @HellOfaWine. Insegna comunicazione del vino all’Università Cattolica. Si occupa dello stesso tema nel podcast “La Retroetichetta”, di cui è co-autore, e con speech a eventi dedicati.
ZUCCHERO CHIAMA ZUCCHERO: I VINI DA ABBINARE AI DOLCI DI NATALE.
Le feste natalizie sono uniche anche perché, per molti, è il momento giusto per concedersi qualcosa di speciale a tavola. Salumi particolari, magari quel caviale da gustare una volta ogni tanto, oppure un buon torrone lavorato a mano o un panettone artigianale. Il mondo dei dolci natalizi, in particolare, è decisamente ricco di alternative tra cui scegliere per chiudere un pranzo o una cena a casa.
A volte si tende a pensare che un Brut Metodo Classico, oltre a essere perfetto per aprire il pasto, può essere una buona alternativa anche da abbinare al dessert. La verità è che in questo caso uno spumante può funzionare solo se presenta una certa quantità di residuo zuccherino. Uno spumante demi-sec, ad esempio, ci può stare, perché i suoi zuccheri oscillano tra i 33 e i 50 grammi per litro; così come uno spumante dolce, dove si supera la soglia dei 50 gr/l.
Senza entrare negli aspetti tecnici, è sufficiente tenere a mente una formula molto semplice: dolce chiama dolce. Non si tratta di un principio assoluto ed esistono tante eccezioni, ad esempio quando si parla di cioccolato fondente, ma è una buona regola base. Non solo per evitare accostamenti poco riusciti, ma anche per non sprecare una bottiglia di pregio, magari quel Metodo Classico conservato mesi e mesi in attesa dell’occasione giusta. È un rischio tipico delle feste, e non accade solo con gli spumanti: abbiamo una bottiglia di valore da parte, aspettiamo da tempo l’occasione giusta per aprirla, e presi dall’entusiasmo del clima natalizio non pensiamo all’abbinamento, perdendo l’occasione di valorizzarla come merita. Dunque a fine pasto, per non sbagliare, ricordiamo che si può sempre assecondare la presenza dello zucchero con altro zucchero. Tecnicamente è quello che si chiama abbinamento per concordanza, alternativa all’accostamento per contrapposizione. La formula non riguarda solo gli spumanti, ma tutti i vini dolci. Tra questi, in particolare, ci sono i passiti, di cui l’Italia è ricchissima a tutte le latitudini, dall’Alto Adige a Pantelleria. Si tratta di vini realizzati attraverso la lavorazione di acini appassiti. L’appassimento può avvenire in pianta, con una vendemmia tardiva che innesca un processo di surmaturazione, oppure dopo la raccolta dell’uva, lasciando disidratare gli acini per un certo periodo di tempo. Quello che si cerca attraverso l’appassimento è una maggior concentrazione diaromi e zuccheri, che si ritroverà poi anche nel bicchiere dopo la lavorazione. Per accostare bene un vino a un dessert non basta scegliere un passito qualsiasi. Anche questo tipo di abbinamento richiede qualche considerazione e permette di giocare tra un ventaglio di opzioni e interpretazioni. Un fattore da tener presente è quello della struttura del dolce che andremo a mangiare. Una torta paradiso, ad esempio, ha una struttura molto diversa rispetto a quella di un panforte, decisamente più importante, dove abbiamo tra gli ingredienti il miele, le mandorle, la frutta candita e diverse spezie. Se nel primo caso possiamo optare per un vino delicato, ad esempio un Moscato d’Asti, nel secondo caso la scelta può andare su un prodotto più strutturato, come ad esempio un Vin Santo. Un altro punto da considerare riguarda il livello di dolcezza, ovvero la quantità di zuccheri presenti nella ricetta, perché c’è dolce e dolce. Un plumcake allo yogurt, in questo senso, è molto diverso da una crostata alla confettura di albicocche. Nel primo caso uno spumante leggero da uve Malvasia può essere una buona soluzione. Nel secondo caso invece si può optare per uno Zibibbo passito che arriva dalla Sicilia, dove il clima caldo favorisce la dolcezza degli acini, e conseguentemente del prodotto finale. Continuando con i fattori da tenere a mente quando cerchiamo l’abbinamento giusto per un dolce, possiamo considerare anche la sua aromaticità. Questa può derivare dalle erbe aromatiche previste dalla ricetta, oppure dal profumo intrinseco di uno specifico ingrediente. Un esempio può essere quello, inconfondibile, dei canditi nel panettone, caratterizzati appunto da spiccata aromaticità. In questo caso per l’abbinamento, sempre in una logica di concordanza, si può valutare un vino di
buona intensità. L’intensità, per intenderci, è quel parametro che descrive in termini quantitativi la forza con cui i sentori si esprimono al naso e al palato. Tipicamente presentano grande intensità diversi vini ottenuti da uve aromatiche come Moscato, Malvasia o Gewürztraminer. Proprio quest’ultima è alla base del passito Rechtenthaler Schlossleiten firmato dalla storica azienda altoatesina Hofstätter, ideale appunto da abbinare a un buon panettone. Un Gewürztraminer da vendemmia tardiva di grande spessore, che prende il nome da uno dei prestigiosi cru dei vigneti di proprietà. Caratteristica chiave è la sua sorprendente freschezza, decisamente sopra la media nella categoria dei vini dolci, e fondamentale per evitare di appesantire la fine di pasti che a Natale possono risultare già di per sé impegnativi. Anche il ridotto contenuto di alcol, intorno al 7%, aiuta a delineare un profilo snello ed elegante. Al naso miele ed erbe aromatiche, in bocca albicocche, pere e agrumi canditi. La lunghissima persistenza connota questo Gewürztraminer come la scelta giusta per chiudere in bellezza un pranzo o una cena natalizia, con l’idea di portare con sé il più a lungo possibile il sapore dolce delle feste.
