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“Con Winefully vogliamo offrire alle cantine e ai nostri clienti un posto speciale dove il vino non viene solo venduto, ma anche raccontato e vissuto, come vettore di emozioni intense e socialità”

Marcello Russo – Founder

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DAL NOSTRO MAGAZINE

IL GRANDE MOSAICO DEI VINI PASSITI

Il concetto di passito, nella sua essenza, è molto semplice. Mentre generalmente per la produzione del vino viene utilizzata uva fresca, in questo caso vengono lavorati acini appassiti. Meno acqua, dunque, e più concentrazione, che si traduce innanzitutto in una maggiore quantità di zuccheri. Le uve cambiano colore, diventano dorate se a bacca bianca, o color mattone se a bacca rossa. Aumentano l’aromaticità, la concentrazione degli zuccheri e la densità del succo stesso. Le strade che esplorano l’ampia tipologia dei passiti si diramano in diverse direzioni, vediamo quali sono le principali.

Una prima suddivisione riguarda il metodo di appassimento. Si può parlare di appassimento naturale quando questo
avviene direttamente in pianta, lasciando che gli acini si disidratino spontaneamente, per essere poi raccolti con una vendemmia posticipata, che viene definita “tardiva”. L’appassimento artificiale, invece, viene guidato dal produttore. Si raccoglie l’uva, come di consueto, ma invece di pressarla, la si fa appassire. Il processo avviene in appositi locali asciutti, dove è fondamentale la ventilazione, che può essere sia quella propria dell’ambiente, sia quella indotta da appositi ventilatori. L’obiettivo, in ogni caso, è evitare che i grappoli ammuffiscano, per questo vengono sempre distanziati, a volte appesi a dei graticci, altre adagiati su letti di paglia o cassette. Esistono ancora alcuni posti dove, come accadeva un tempo, le uve vengono fatte appassire al sole. Tra questi abbiamo, ad esempio, Pantelleria.

Quando si passa alla vinificazione, la tecnica non cambia rispetto a ciò che accade tipicamente per il vino. Dalle uve si ottiene il mosto, e dal mosto il vino, che nasce dall’azione dei lieviti che trasformano gli zuccheri in alcol. Quello che cambia nei vini passiti è che durante la fermentazione non tutti gli zuccheri si trasformano in alcol, come accade in genere. Gli stessi, infatti, sono molto concentrati a causa dell’appassimento, tanto da interrompere l’azione dei lieviti, che superata una certa gradazione alcolica non sono più in grado di lavorare. La fermentazione, in alcuni casi, può essere interrotta anche in modo artificiale con un abbassamento della temperatura, con l’aggiunta di anidride solforosa o attraverso un’apposita filtrazione. Il risultato, in ogni caso, è che nel prodotto finale ritroveremo degli zuccheri residui.

I vini che nascono dalle uve appassite hanno la caratteristica di essere più dolci, e più morbidi, perché con la disidratazione diminuisce l’acidità che caratterizza l’uva. Anche dal punto di vista cromatico mostrano delle particolarità, che dipendono naturalmente dall’utilizzo di uve bianche piuttosto che rosse, abbracciando uno spettro di colori che va dall’oro all’ambrato, fino all’aranciato e al mogano.

Riferendosi al mondo dei passiti, si tende a pensare ai vini dolci. È importante però ricordare che esistono anche i passiti secchi.
Sono prodotti con uve appassite, sì, ma non contengono zucchero, perché è stato trasformato interamente in alcol. Due esempi su tutti: l’Amarone della Valpolicella e lo Sforzato della Valtellina. A questa specifica tipologia abbiamo dedicato uno dei nostri articoli precedenti.

Esiste inoltre un altro modo particolare di appassire le uve. Nasce dall’effetto di una muffa – la Botrytis Cinerea, o muffa nobile – che attacca gli acini e li trasforma, disidratandoli. I vini che ne nascono vengono chiamati muffati e si caratterizzano per sentori davvero unici. Anche in questo caso, è possibile approfondire l’argomento grazie a uno dei nostri articoli già pubblicati.

Un’ultima casistica riguarda i cosiddetti Ice Wine, o vini di ghiaccio, prodotti in luoghi freddi come il Canada, la Germania, l’Austria, e in genere sulle Alpi. I grappoli, in questo caso, vengono lasciati sulla pianta fino al congelamento e vendemmiati tardivamente, quando la temperatura scende sotto zero.

Tornando ai passiti più classici, e parlando di varietà, per questa metodologia si tende spesso a utilizzare uve aromatiche; tra queste ricordiamo il Moscato, la Malvasia e il Gewürztraminer. Proprio con quest’ultimo l’azienda altoatesina Hofstätter produce il suo Rechtenthaler Schlossleiten, ottenuto da vendemmia tardiva. Il clima peculiare della zona dove si trovano i vigneti connota le uve con un’importante acidità. Nel bicchiere questa si traduce in una venatura di sorprendente freschezza, che contraddistingue decisamente Rechtenthaler Schlossleiten nel panorama dei passiti. Altra sua caratteristica chiave è la bassa gradazione alcolica, che si attesta intorno al 7% e lo rende parecchio più snello rispetto alla media della tipologia. Al palato è suadente: richiama il miele, le albicocche e la frutta disidratata in generale. Interessante l’idea di degustarlo a fine pasto, magari per accompagnare un dessert o una selezione di formaggi erborinati.

 

 


Graziano Nani

Oltre 15 anni in comunicazione, oggi Graziano Nani è Branded Content Lead in Chora, dove si occupa di podcast. Sommelier AIS, scrive per Intravino e su Instagram cura @HellOfaWine. Insegna comunicazione del vino all’Università Cattolica. Si occupa dello stesso tema nel podcast “La Retroetichetta”, di cui è co-autore, e con speech a eventi dedicati.

MAZZON E IL PINOT NERO IN ALTO ADIGE

Parlando di Pinot Nero è interessante provare a capire perché sia così amato, ricercato, e in qualche modo venerato dagli appassionati di tutto il mondo. Parte del fascino nasce dal fatto che si tratta di un vitigno particolarmente difficile da coltivare. È una varietà delicata, precoce, tutt’altro che versatile, anzi, adatta soltanto ad alcuni particolari luoghi e climi. Il punto è che quando sussistono le giuste condizioni, compresa la mano di uomini capaci di valorizzare il vitigno, i risultati possono raggiungere livelli straordinari. Il Pinot Nero ha inoltre la particolare capacità di restituire le caratteristiche di zone anche molto piccole, e delle micro-differenze che esistono tra loro, in maniera precisa e sfaccettata. Basta un dislivello di pochi metri, o una minima discrepanza a livello di suoli, e due parcelle anche molto vicine possono portare nel bicchiere vini essenzialmente diversi.

La patria di questo vitigno è la Francia e in particolare la Borgogna, dove arriva a esprimere i livelli qualitativi più elevati. Lo si può trovare poi in diverse altre zone del mondo caratterizzate da climi freschi ed escursioni termiche importanti. Tra queste la Germania, l’Austria, il Sud Africa, il Canada, l’Australia, la Nuova Zelanda e gli Stati Uniti, soprattutto in Oregon e California. Anche in Italia si può trovare in diverse regioni. Nell’Oltrepò Pavese, dove storicamente viene utilizzato per produrre gli spumanti, così come in Franciacorta. In Friuli, in Toscana, in Umbria, Marche e Abruzzo. Ultimamente si è diffuso anche al sud, in Campania, Basilicata e Sicilia, nella zona dell’Etna. E poi si trova un po’ ovunque sull’arco alpino: in Alto Adige, in particolare, dove viene chiamato anche Blauburgunder, diversi produttori hanno saputo dare vita a etichette che spiccano per stoffa ed espressività.

Il Pinot Nero è una presenza storica in Alto Adige, dove viene coltivato da oltre due secoli. Per descrivere i picchi qualitativi che è in grado di raggiungere in questa regione bisogna esplorare la zona dei borghi di Egna e di Montagna, e in particolare l’altopiano di Mazzon. Qui, a un’altitudine compresa tra i 250 e i 450 metri circa, si trova il Vigneto Mazzon, dove verso la metà del Novecento alcuni produttori hanno iniziato a concentrarsi proprio su questo vitigno. Stiamo parlando di un vigneto
che si estende per circa 60 ettari e vanta una posizione particolarmente felice per la coltivazione del Pinot Nero. Mazzon è esposto a ovest. Le montagne a nord svolgono una funzione importantissima, perché nelle prime ore del giorno proteggono dai raggi solari evitando che il calore sia eccessivo. Inoltre, riparano il vigneto dai venti più rigidi che provengono da nord e da est, lasciando campo invece all’Ora, la brezza mite che soffia dal Lago di Garda. Il vigneto gode poi di un’ottima quantità di luce, che si estende a lungo nel pomeriggio. Quando il sole cala le temperature si abbassano bruscamente, determinando quell’escursione termica fondamentale per la qualità del Pinot Nero.

Mazzon vede protagonisti circa una decina di produttori altoatesini, che riescono a ottenere risultati di notevole interesse. I vini dei diversi artigiani che lavorano il vigneto mostrano alcuni tratti comuni. Tra questi un frutto nitido, fresco e sprizzante, spesso intrecciato a note speziate, per un profilo complessivo in grado di dare soddisfazioni già dopo pochi anni, e al tempo stesso di moltiplicarle con il passare del tempo. Tra i nomi di queste realtà spicca Gottardi, oggi guidata da Elisabeth Gottardi, che negli anni Ottanta ha iniziato un lavoro specifico sul Pinot Nero, e nell’arco di una decade è riuscita a ottenere livelli di eccellenza assoluta.

Riserva Mazzon” viene prodotto dall’azienda esclusivamente nelle migliori annate, lavorando le uve dei vigneti più vecchi. 100% Pinot Nero, matura un anno in barriques nuove e 14 mesi in botti grandi, per poi affinare 6 mesi in bottiglia. Ne nasce un rosso complesso, tratto tipico dei vini che nascono da questo importante vigneto. Si presenta alla vista con un rosso brillante, lucente. Al naso profuma di frutti di bosco, con una particolare inclinazione verso la fragolina; sullo sfondo, spezie ed erbe officinali. In bocca articola una struttura ricca, con un tannino leggiadro, elegante, integrato a un profilo aromatico di grande ampiezza. Lungo, persistente, rintocchi freschi e sapidi di rincorrono e prolungano le sensazioni piacevoli al palato. Intrigante da subito, ha le caratteristiche giuste anche per restare in cantina ed evolvere nel tempo il proprio profilo.

 


Graziano Nani

Oltre 15 anni in comunicazione, oggi Graziano Nani è Branded Content Lead in Chora, dove si occupa di podcast. Sommelier AIS, scrive per Intravino e su Instagram cura @HellOfaWine. Insegna comunicazione del vino all’Università Cattolica. Si occupa dello stesso tema nel podcast “La Retroetichetta”, di cui è co-autore, e con speech a eventi dedicati.

SPUMANTI, DOSAGGIO ZERO ED EVOLUZIONE DEL GUSTO

Il mondo del gusto non è mai rimasto fermo, nel corso dei secoli ha vissuto un’evoluzione costante. Questi cambiamenti riguardano da sempre sia l’ambito del vino, sia quello del cibo in generale. Gualtiero Marchesi, ad esempio, sull’onda della Nouvelle Cuisine ha portato una grande rivoluzione nel nostro Paese. Fino a quel momento la lavorazione degli ingredienti, con preparazioni anche molto elaborate, aveva un ruolo centrale. È proprio Marchesi in Italia a dare nuova dignità alle materie prime e alla qualità che le contraddistingue, aprendo la strada a uno stile inedito dove le preparazioni si semplificano, e gli ingredienti emergono con le loro caratteristiche intrinseche.

Lo stesso vale per il vino. Intorno agli anni Ottanta e Novanta molti appassionati amavano rossi corposi e molto strutturati, prodotti utilizzando botti piccole per far sì che i sentori del legno incidessero significativamente sul vino stesso. Anche la critica valorizzava quel tipo di etichette, e il mercato di conseguenza faceva lo stesso. Nei decenni il quadro è cambiato parecchio e oggi ci troviamo in un periodo in cui si sta consolidando una tendenza differente, per certi versi quasi opposta. Per descriverla bisogna fare un passo indietro. Il mondo della degustazione, tra i vari approcci, ne utilizza uno che divide i sentori del vino in durezze e morbidezze. Nel primo gruppo ci sono l’acidità, la sapidità e i tannini; nel secondo si trovano zuccheri, alcol e polialcoli. Questi ultimi comprendono la glicerina, fondamentale per dare al vino viscosità, dunque densità e morbidezza. Un vino ben fatto, tra le varie caratteristiche, presenta un equilibrio tra questi aspetti, o comunque una proporzione ragionata a monte. Chiarite queste due dimensioni, possiamo dire che da qualche anno esiste una tendenza a valorizzare le durezze. Lasciamo da parte i tannini, che derivano dall’utilizzo delle bucce nella fase di lavorazione del vino, e riguardano principalmente i vini rossi e i cosiddetti orange wine. Nelle enoteche si trovano sempre più spesso vini con maggior acidità e freschezza di un tempo, più sferzanti. Anche la sapidità è valorizzata: si può riflettere ad esempio in sentori iodati sottili, appena percepibili, oppure in note saline più nette e marcate.

Il mondo degli spumanti non è escluso da questa nuova ondata. Anzi, se parliamo di Metodo Classico in particolare, il tema
assume grande centralità. Questi vini sappiamo infatti che vengono classificati in base alla quantità di zuccheri residui che si trovano in bottiglia. Extra-dry, brut ed extra-brut, ad esempio, sono diciture che identificano una specifica quantità di residuo zuccherino. Possiamo dire che, per un gioco di equilibri tra le diverse dimensioni che abbiamo visto, in uno spumante con più zuccheri emergerà maggiormente la componente morbida. Viceversa, una quantità minore di zuccheri lascerà più spazio ad acidità e sapidità, dunque alle durezze.

Oggi, coerentemente con la tendenza di cui sopra, c’è un’attenzione sempre più grande per gli spumanti con presenza di zuccheri molto bassa, o addirittura pari a zero. La categoria viene chiamata dosaggio zero, o pas dosé; il nome deriva dal dosaggio del liqueur d’expédition, quello che appunto determina la quantità di zuccheri che rimarranno in bottiglia. Durezze più evidenti significa vini taglienti, con l’acidità in primo piano e la sapidità che può esprimersi con note salmastre, o legate al mondo dei minerali, tra cui ad esempio la grafite.

I pas dosé sono vini versatili, in grado di accompagnare diverse occasioni. Ad esempio quella dell’aperitivo, dove la freschezza gioca un ruolo fondamentale per godere di bevute senza abbinamento, o al limite accompagnate da stuzzichini leggeri. Anche per quanto riguarda i possibili accostamenti a pranzo e cena, i dosaggio zero presentano grande adattabilità e lasciano aperte molte porte. Ecco una possibile direzione, che parte dall’assenza o quasi di zuccheri, e quindi da una loro caratteristica di essenzialità. In questo senso, può essere interessante un abbinamento con piatti altrettanto essenziali come i crudi di pesce, magari delle tartare, improntati sulla qualità e sulla purezza della materia prima, che non viene nemmeno cucinata, ma solo condita delicatamente.

Uno dei produttori più interessanti nel mondo dello Champagne è Tarlant. Il suo “Zero Brut Nature“, in particolare, è prodotto con un blend di uve che comprendono Chardonnay, Pinot Meunier, Pinot Noir e altri vitigni antichi. La conduzione è biologica, con un grande rispetto della natura e un approccio che prevede il minor intervento possibile da parte dell’uomo.
Prima fermentazione in acciaio e affinamento in barrique per sei mesi, poi seconda fermentazione e risposo sui lieviti di almeno sei anni, infine la sboccatura fatta a mano. I profumi giocano tra il mondo dei fiori e quello degli agrumi, insieme a richiami di sensazioni più avvolgenti, come quelle del miele. In bocca mostra un perlage finissimo. E, naturalmente, una presenza in primo piano della dimensione delle durezze: acidità rinfrescante, e trama salina a fare da contrappunto. Ha una grande persistenza, con gli aromi che accompagnano lungamente il palato lasciando un bellissimo ricordo di questa maison artigianale oggi sempre più ricercata.

 


Graziano Nani

Oltre 15 anni in comunicazione, oggi Graziano Nani è Branded Content Lead in Chora, dove si occupa di podcast. Sommelier AIS, scrive per Intravino e su Instagram cura @HellOfaWine. Insegna comunicazione del vino all’Università Cattolica. Si occupa dello stesso tema nel podcast “La Retroetichetta”, di cui è co-autore, e con speech a eventi dedicati.