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Come funziona il sistema di qualità francese

Negli anni Venti, a causa degli enormi danni provocati dalla filossera, in Francia si registrò un forte incremento della produzione di vini scadenti, parallelamente a una scarsa disponibilità di quelli di alta qualità. Il rischio più evidente e immediato era quello di compromettere il prestigio internazionale dell’enologia francese e si iniziò – per questo – a riflettere sulla necessità di individuare dei criteri unanimemente riconosciuti, in grado di regolamentare la qualità del sistema produttivo vitivinicolo.

Una prima risposta a questa necessità venne dall’individuazione delle Appellation d’Origine Contrôlée (AOC), a cui seguii – nel 1935 –  la nascita dell’Institut National de l’Origine et de la Qualité (INAO), con lo scopo di definire e tutelare i disciplinari delle varie AOC. Il modello per questi primi anni di attività fu l’esperienza del Barone Pierre Le Roy de Boiseaumarié – importante produttore di Châteauneuf-du-Pape – che già nel 1923 scelse di produrre i suoi vini solo e soltanto secondo regole rigide come la dichiarazione della zona geografica, l’indicazione delle uve permesse, il metodo di allevamento delle viti e la loro potatura e, infine, il grado alcolico. Quasi tutti i disciplinari dei vini francesi più noti sono stati messi a punto nei primi anni di vita dell’INAO e, nel tempo, perfezionati.

Per rientrare in una AOC, un vino deve rispettare sette criteri: il territorio (la posizione dei vigneti e anche la qualità del terreno), le uve consentite (sulla base della storia e della tradizione locale), le pratiche ammesse in vigna, la resa per ettaro, le tecniche enologiche (sempre secondo tradizione) e il grado alcolico minimo. Infine, dal 1979, una commissione effettua controlli organolettici su tutti i vini in lizza per l’Appellation.

L’AOC è riservata all’eccellenza dei vini francesi, sotto troviamo il Vin Délimité de Qualité Supérieure (VDQS), il Vin de Pays e per finire il Vin de France, ovvero quei vini privi dei requisiti necessari per ricevere una specifica denominazione. Questi quattro livelli disegnano la piramide del sistema qualitativo francese nel suo insieme, ma esistono molti altri parametri per circoscrivere ulteriormente la qualità di un vino in relazione alla sua zona di provenienza: dal Clos al Domaine, senza dimenticare ovviamente il Cru. Quest’ultimo indica un villaggio – e molto frequentemente un singolo vigneto all’interno di uno specifico villaggio – da cui nasce un vino con caratteristiche uniche e chiaramente riconoscibili.

In questo contesto la scala dei Cru rappresenta un vero e proprio sistema di valutazione economica che riconosce il 100% del valore al vino migliore e, tenendo quest’ultimo come riferimento, classifica poi tutti gli altri, al fine di dare un valore economico sia ai prodotti di ogni Cru, sia ai suoi terreni. Il Grand Cru è il gradino più alto, seguono il Premier Cru, Duexième Cru e così via.

Questo pragmatico sistema di classificazione si complica in Borgogna dove circa la metà dei vini prodotti (48%) rientra nella fascia più generica dell’Appellation Regional (Bourgogne Rouge e Bourgogne Blanc) e il 39% dei vini fa parte delle 44 AOC identificate con il nome dei Villages di provenienza. Il restante 13% è suddiviso fra Premier Cru (11%), denominazione riservata a 562 vigneti – i cui vini in etichetta riportano il nome del vigneto di provenienza, insieme a quello del villaggio – e Grand Cru, 33 vigneti (2%) che rappresentano la vetta della produzione borgognona. Le etichette di questi vini estremamente pregiati riportano solo il nome del vigneto.

Fin qui tutto bene; ma se torniamo a guardare le Appelation Regional, vediamo che, accanto alla denominazione Bourgogne (Rouge e Blanc), ne esistono in realtà numerose altre, che coprono zone di produzione diversissime fra loro, da ogni punto di vista: dai 90 comuni della Côte d’Or ai 54 del Dipartimento della Yonne (che include anche Chablis), e anche 154 località della Saône-et-Loire e 85 comuni del Dipartimento del Rodano, fra i quali spiccano non poche località del Beaujolais.

In questo panorama già sufficientemente variegato, ha suscitato le ire dei vigneron borgognoni, il nuovo regolamento dell’INAO. Reso noto a febbraio 2020, quest’ultimo includeva nella AOC Bourgogne 43 comuni del Beaujolais, escludendone contemporaneamente 64 della Borgogna, fra i quali Chablis e sei località intorno a Digione, che sarebbero così rientrate nell’appelation poco nota e molto vaga di Coteaux Bourguignons. Usiamo l’imperfetto perché le proteste dei vignaioli della Borgogna sono state così accese da spingere l’INAO a ritirare il regolamento, con la promessa di studiare una  proposta alternativa in breve tempo. Vedremo cosa accadrà.

Un’altra prestigiosa eccezione alla regola riguarda il Bordeaux, dove la classificazione dei Cru risale al 1855, quando Napoleone III, in vista dell’Esposizione Universale di Parigi, chiese alla Borsa di Bordeaux di stilare una lista completa dei migliori vini della regione, rossi e bianchi. Per stabilire questa graduatoria (Crus Classés), si prese come riferimento il prezzo di mercato di questi vini e la reputazione delle loro cantine di provenienza (ottantotto tra le più blasonate dell’epoca,) stabilendo a seguire cinque livelli per i rossi e tre per i bianchi.

Questa classificazione, dal 1855 a oggi, ha subito due sole modifiche: nel settembre del 1855 Château Cantemerle è stato riconosciuto come Cinquième Cru, mentre nel 1973, Château Mouton Rothschild è passato da Deuxième a Premier Cru.

Semplificando, possiamo dire che nel Bordeaux, a differenza che altrove, il Cru è un titolo che viene attribuito al produttore e non al vigneto.

Attualmente, sono sessanta gli Châteaux del Médoc e uno della Grave a fare parte della graduatoria, mentre i vini bianchi classificati provengono da Sauternes e Barsac.

Per la Grave il sistema venne introdotto solo nel 1953 e prevede unicamente la dicitura Cru Classé per i vini di qualità superiore. La zona di St. Emilion infine, è stata classificata nel 1954 e prevede una revisione ogni dieci anni.