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Campania Felix, a spasso nella storia… E tra i vigneti!

È un territorio fertile per molti motivi, quello campano, sia per la produzione vinicola, che per il patrimonio gastronomico unico nel suo genere. Non a caso gli antichi la chiamavano Campania Felix per indicare un territorio estremamente generoso e vocato per l’agricoltura, grazie ai suoli di origine vulcanica che andavano dall’area Flegrea fino al monte Massico. Fare un viaggio enogastronomico nella regione significa addentrarsi nella sua storia, percorrendo i suoi cinque principali areali (il Casertano, l’area tra Napoli le isole e la Costiera Amalfitana, l’Irpinia, il Beneventano e il Cilento), che si dischiudono su numerose enclave di microclimi, suoli e vitigni differenti.

Il cuore pulsante della regione, l’Irpinia, è l’esempio più evidente di questa complessità di paesaggi, dove l’ambiente montuoso-collinare, atipico rispetto al resto della Campania, è culla di uno dei vitigni più importanti della regione, l’Aglianico, da cui nasce il Taurasi Docg. Questo rosso opulento e complesso mantiene il suo legame con la storia antica, tanto che il suo nome, Taurasi, deriva da un piccolo borgo vinicolo creato dai romani nell’80 a.C. dopo la sconfitta degli Irpini, mentre il suo vitigno, l’Aglianico, era denominato in passato “Ellenico”, probabilmente a causa delle sue origini greche.

Chi ama questo rosso di grande corpo e intensità, deve assolutamente provare le versioni che ne dà il professore Luigi Moio, enologo pluripremiato e fondatore della cantina Quintodecimo. Tra i più fini e importanti conoscitori dei profumi del vino, vi suggeriamo di sorseggiare il suo Vigna Quintodecimo Taurasi Riserva Docg, un vino seducente dai profumi di piccoli frutti a bacca nera, spezie dolci e note floreali, bocca complessa, lunghissima ed elegante, mentre leggete “Il respiro del vino”, uno dei suoi libri più famosi.

Dal momento che la lettura fa venire fame (!), perché non sbocconcellare uno dei formaggi tipici dell’Irpinia per farsela passare? Noi vi consigliamo il pecorino Carmasciano, nella versione più stagionata col Taurasi Docg, in quella fresca col il Fiano di Avellino Docg, un altro imperdibile vino della zona. Anche in questo caso ci viene in soccorso la maestria del professor Moio, che produce il Fiano di Avellino Docg Exultet, dall’impressionante bouquet e persistenza gustativa, il cui nome rievoca l’incipit del “rotolo di Quintodecimo”, una pergamena costudita nel Museo d’Arte Sacra di Mirabella Eclano (attualmente non aperto), che recita “Exultet iam angelica turba caelorum, ovvero “esulti il coro celeste degli angeli”.

Tra i vitigni tanto amati da Federico II di Svevia, il Fiano di Avellino è probabilmente stato importato dai Greci, esattamente come è avvenuto per il Greco di Tufo (nomen omen), la cui fortuna risale al I secolo a.C., come ci confermano alcuni affreschi di Pompei che lo vedrebbero raffigurato. L’abbinamento ideale con questo vino bianco? Naturalmente con i piatti di pesce e i crostacei, ma la versione alla Quintodecimo, il Greco di Tufo Giallo d’Arles, ci consente di gustarlo anche coi formaggi, persino con un caciocavallo giovane dell’Irpinia.

Un’altra meravigliosa zona vinicola da visitare è quella tra la provincia di Napoli e quella di Salerno, che comprende anche le isole di Ischia e Capri. Il Piedirosso, anche detto Pere ‘e palummo (Piede di colombo), un vitigno autoctono che ritroviamo spesso in uvaggio con l’Aglianico, è presente in molte denominazioni, tra cui la Vesuvio Doc, la Campi Flegrei Doc, la Tramonti Costa d’Amalfi Doc e la Capri Doc. Una cantina su tutte? Certamente Masseria Frattasi, tra le aziende vinicole campane da mettere assolutamente in agenda per una visita. Una declinazione particolarmente riuscita del Piedirosso, in assemblaggio con Aglianico e altre uve autoctone, è il loro Capri Doc, appena 600 bottiglie per un vino potente ed elegante, segnato da profumi di marasca, prugna e spezie, sorso carnoso e vellutato. Se allevato su terreni vulcanici, il Piedirosso si arricchisce di componenti minerali rintracciabili anche nel vino con certa marcata sapidità gustativa. Una caratteristica, quest’ultima, che non segna solo la produzione vinicola, ma tutti i prodotti agroalimentari vulcanici, come il pomodoro giallo del Vesuvio, dal gusto molto sapido e morbido, privo quasi totalmente di acidità. Una primizia indicata con le ricette intense a base di bottarga, a cui abbinare il Donnalaura, Falanghina del Sannio Dop Taburno, un altro vino di Masseria Frattasi, omaggio di Pasquale Clemente, titolare della cantina, alla nonna tanto amata. Un bianco da vendemmia tardiva, dai profumi tropicali, spezie e di frutta secca, sorso strutturato, di corpo e con lunga persistenza, che può essere abbinato agilmente anche ai formaggi di media stagionatura.

Tra i vitigni salvati dall’estinzione negli ultimi anni, su terrazzamenti della penisola sorrentina che sfidano la forza di gravità, vi segnaliamo anche il Gragnano, un rosso frizzante citato da Mario Soldati come “un Lambrusco, ma di più corpo” e protagonista di un divertentissimo siparietto nel film “Miseria e Nobiltà” tra il grande Totò ed Enzo Turco (“…e ti fai dare due litri di Gragnano frizzante. Assicurati che sia Gragnano. Tu lo assaggi, se è frizzante lo pigli, se no…” E Totò: “Desisto!”). Ottimo con i salumi italiani, vi consigliamo di provarlo col lardo e la pancetta steccata prodotte col maialino nero casertano.

Ci spostiamo proprio in quest’ultima provincia, che va dalla pianura campana fino a lambire quasi il Vesuvio, per parlare di una denominazione misconosciuta, che meriterebbe maggiore attenzione, come l’Asprinio d’Aversa Doc. Se vi capita di essere nella zona dovete andare a vedere assolutamente l’allevamento ad alberate dell’omonimo vitigno, davvero unico nel suo genere. Si tratta di filari di Asprinio che si sviluppano in altezza anche per 20 metri, spesso aggrappati a pali o a pioppi, che creano una straordinaria barriera vegetale, tanto che per vendemmiare si usano delle altissime scale da raccolta. Con l’Asprinio si producono delle interessanti bollicine, dalla spiccata e piacevole acidità. L’abbinamento? Con una bella pizza napoletana o con una mozzarella di bufala.

In provincia di Benevento, infine, la parte del leone la fa l’Aglianico del Taburno Docg, un grande rosso da invecchiamento, come il fratello Taurasi di cui abbiamo già detto e come il cugino Aglianico del Vulture Docg, allevato in Basilicata. Se le due versioni della Campania hanno più affinità per caratteristiche organolettiche, l’Aglianico del Vulture, coltivato in un vulcano spento, ha di norma un grado alcolemico volumico più alto e minore freschezza rispetto ai cugini campani. Ma questa è un’altra storia da scoprire nel prossimo viaggio a spasso per l’enogastronomia italiana! Continuate a seguirci.

– di Giordana Talamona 06.10.2020

Giordana Talamona, giornalista specializzata in enogastronomia e consulente wine&food, collabora con testate di settore e lifestyle come La La Wine, Bubble’s, The Italian Wine Journal, Style.it del Corriere e Life Style Made in Italy Magazine. Per dare solidità alla sua preparazione è diventata sommelier, qualifica che le ha permesso di tenere degustazioni guidate, corsi di avvicinamento al vino per scuole di cucina e di organizzare tasting per il lancio di prodotti con la stampa come PR.