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L’eroe della Toscana, il Sangiovese
Quanto amiamo la Toscana, terra d’ingegni arditi, dove ogni paesaggio sembra un dipinto, ogni calice di vino un’opera d’arte. Camminare la terra toscana, significa mettere i piedi nella storia dell’enologia, passeggiando dov’è nato il mito del Brunello, del Chianti Classico, del Nobile di Montepulciano e dei più recenti Supertuscan. Tutte queste denominazioni hanno in comune un vitigno, il Sangiovese, l’eroe incontrastato del Granducato di Toscana. Ma non si può fare di tutti i Sangiovese un fascio, sia ben chiaro.
Sono molti i Sangiovese, o meglio i cloni, esattamente come lo sono i nomi con cui è chiamata localmente quest’uva. Il nome autoctono più celebre è senza dubbio proprio “Brunello”, ma l’elenco è pressocché infinito, quanto curioso: Morellino, Calabrese, Negretta, Nerina, Prugnolo Gentile, Primaticcio, Pignolo, Uva Abruzzi, Tignolo, Sangioveto, San Zoveto, Sangiovetino e così a seguire per pagine intere. Il vitigno è presente anche in Romagna, dove ha avuto meno successo storico-commerciale, ma dalla cui terra nascono oggi dei rossi da Sangiovese di grande potenza.
Il nostro eroe, il Sangiovese, in Toscana specie in passato, veniva distinto in Grosso per la produzione di Brunello e Vino Nobile di Montepulciano, e in Piccolo utilizzato nel resto delle produzioni. Oggi questa differenza non è più strettamente tenuta in considerazione, ma ci si riferisce ai singoli cloni creati nei vivai, o alle selezioni massali dei produttori, come quello di Biondi Santi. Proprio nella fattoria Il Greppo della Biondi Santi nasce il rosso toscano più famoso della storia, il Brunello di Montalcino. Si devono a Clemente Santi quei singolari esperimenti di vinificazione, che portarono nel 1865 alla presentazione al pubblico della prima bottiglia di Brunello. Un nome iconico scelto all’epoca per celebrare la sua uva a bacca nera, denominata dai contadini proprio “brunello”. Questo celeberrimo rosso toscano è oggi tutelato da un rigido disciplinare di produzione, che prevede una resa massima di 80 q.li/ha, l’immissione in commercio a partire dal quinto anno dopo la vendemmia, un affinamento di non meno di due anni in botte di legno e di almeno altri quattro mesi in bottiglia.
Ogni anno nel mese di gennaio una speciale commissione di degustazione, composta da 20 tecnici di Montalcino, assaggia i campioni dell’annata in corso conferendo delle stelle qualitative, da una a cinque. Tra le annate considerate eccezionali, che si sono meritate il massimo di stelle previsto, ci sono la 1995, la 2006 e la 2012, delle bombe per serbevolezza, profumi ed evoluzione. La storica e pluripremiata annata 1995 di Biondi Santi, in particolare, oltre a rientrare tra le migliori per il Consorzio, e ad aver ottenuto ben 97/100 da Wine Spectator, è quella che per volere della proprietà è rimasta più a lungo ad affinare nella cantina del Greppo, addirittura fino al 2019!
Tra le denominazioni che vantano una storia antica e gloriosa c’è quella del Chianti Classico prodotto con Sangiovese in purezza o in blend con l’80% minimo di Sangiovese, più un 20% massimo di altri vitigni a bacca rossa. Per la Riserva occorrono 24 mesi di invecchiamento, mentre per la Gran Selezione non meno di 30, di cui 3 mesi in bottiglia. Nel cuore del Chianti Classico, ossia della zona più antica di produzione di questo vino, c’è un vino entrato nel mito, al punto tale da essersi emancipato dalla denominazione nel 1981 per scegliere una propria strada produttiva. Ci riferiamo al Pergole Torte di Montevertine, il primo Sangiovese in purezza vinificato nel 1977 nella zona di Radda in Chianti, le cui etichette da collezione create dall’artista Alberto Manfredi sono diventate famose al pari del vino stesso. Raffinato al naso, con quelle pennellate olfattive ritmate, che cambiano nel calice istante dopo istante, dal pepe, ai chiodi di garofano, dall’arancia sanguinelle al cacao, questo vino rappresenta con eleganza tutte le potenzialità dalla zona, emancipandosene con classe. Nessuna sfida col Chianti Classico, sono prodotti affini, ma diversi, ognuno con propria straordinaria dignità.
Tornando proprio al simbolo del territorio e della Docg, il Gallo Nero riportato su tutte le bottiglie di Chianti Classico, il cui emblema rappresenta l’antica Lega Militare chiantigiana, c’è una curiosa leggenda che aleggia da secoli sulla sua nascita. Sembra che per porre fine alle contese di territorio tra le Repubbliche di Firenze e Siena, che si combattevano sanguinosamente per strappare una zolla di terra l’una all’altra, fu escogitata una disfida tra due cavalieri. Entrambi, partiti dai rispettivi territori al canto del proprio gallo, di piumaggio bianco per i senesi, nero per i fiorentini, avrebbero fissato il confine tra le due Repubbliche nel loro punto d’incontro. La beffa fu ordita dagli astuti fiorentini che lasciarono il povero gallo nero a digiuno per molti giorni, inducendo il povero pennuto a cantare non appena liberato, con largo anticipo rispetto al gallo senese. Questo escamotage permise al cavaliere fiorentino di partire per primo, segnando a Fonterutoli il confine tra le due Repubbliche, ad appena 12 chilometri da Siena.
Supertuscan è un termine usato per la prima volta da Nicholas Belfrage, giornalista e Master of Wine. C’è un nome che rappresenta una seconda via a questi vini, che crearono all’epoca un vero e proprio spartiacque tra il prima e il dopo. Parliamo del Tignanello di Marchesi Antinori, prodotto a partire dagli anni Settanta con un blend di Sangiovese e Cabernet Sauvignon e inizialmente con l’aggiunta di una piccola parte di uve bianche. Giacomo Tachis, enologo di straordinario talento, fu determinante, per la nascita di questo celeberrimo vino, assieme a Piero Antinori. Nel 1975 le uve bianche furono definitivamente abbandonate e nel 1982 il blend del Tignanello divenne quello che ancora oggi conosciamo – Sangiovese (80%), Cabernet Sauvignon (15%) e Cabernet Franc (5%) – e che matura per 14-16 mesi in barrique francesi e ungheresi di primo e secondo passaggio. L’annata 2017 ha una componente di aromi fruttati molto evoluti, quasi masticabili, dove vince la marasca rispetto all’usuale ciliegia rossa.
Anche il Vino Nobile di Montepulciano è figlio del Sangiovese. In questo paesino a 25 chilometri da Siena, Montepulciano, si produce il vino dal tempo degli Etruschi. Il successo del Nobile, tuttavia, è ben più recente. Citato persino da Voltaire nel suo Candide nel 1759, il Nobile assurge alla fama, quando diventa il rosso preferito dall’aristocrazia. Dall’Ottocento il Chianti ne prende il posto nelle Corti e occorrerà aspettare fino agli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, per vederlo tornare in auge.
Quel vitigno “morello”, infine, con cui si fa il Morellino di Scansano è ancora il nostro eroe, il Sangiovese, i cui vigneti circondano le colline di Scansano, in provincia di Grosseto. In questa terra il Sangiovese trova un’evoluzione leggermente più rapida, rispetto ai cugini del nord della Toscana, tanto da dare vini mediamente più pronti e rotondi in meno tempo.
Siete dunque pronti a sfidare il nostro eroe? Lui vi attendere in cantina con la nobiltà e lo stile di un vero cavaliere. Cin cin!
– di Giordana Talamona 11.11.2021
Giordana Talamona, giornalista specializzata in enogastronomia e consulente wine&food, collabora con testate di settore e lifestyle come La Wine, Bubble’s, The Italian Wine Journal, Style.it del Corriere e Life Style Made in Italy Magazine. Per dare solidità alla sua preparazione è diventata sommelier, qualifica che le ha permesso di tenere degustazioni guidate, corsi di avvicinamento al vino per scuole di cucina e di organizzare tasting per il lancio di prodotti con la stampa come PR.