The winefully Magazine
I fine wines fra investimento e collezionismo – Parte Prima
Possiamo considerare i fine wines una sorta di bene rifugio? È una domanda che, prima o poi, tutti gli appassionati di vino si fanno, soprattutto osservando l’andamento di un mercato che, al netto di qualche piccolo fisiologico rallentamento, sembra ormai da anni non conoscere crisi. Le risposte, come sempre davanti alle domande complesse, sono più di una. Iniziamo col dire che i vini pregiati sono una forma di investimento ma che i connotati di quest’ultimo cambiano molto a seconda dell’attitudine di chi acquista: c’è chi ha un approccio prettamente “finanziario” e che compra, costruendo una sorta di portfolio di investimento – a volte affidandosi a veri e propri consulenti finanziari specializzati nel settore – sempre tenendo ben presente la componente di rischio che è propria di ogni operazione di questo tipo. È una dinamica simile a quella di altri settori di investimento, con, però, un elemento differenziante rispetto a tutti gli altri mercati: nel momento in cui si acquista un vino pregiato, si acquista un oggetto di un certo valore economico, dotato di una fortissima allure esperienziale, capace di mitigare gli imponderabili fattori connessi a un investimento, che in fondo è sempre anche una scommessa. Il vino “da investimento”, infatti, rimane prima di tutto un eccellente prodotto enologico, che nella peggiore delle ipotesi può essere consumato, regalando al proprietario (e ai suoi fortunati commensali) una probabile esperienza memorabile, in grado di compensare l’eventuale perdita economica. Il vino pregiato, dunque, da questo punto di vista, è un tipo di investimento che potremmo definire meno “freddo”, perché comunque legato a una passione e a un certo gusto da bon vivant.
Accanto a questo approccio, per certi versi anche meramente speculativo, esiste quello del collezionista, ovvero di chi acquista – con amore e competenza – con l’idea di costruire una cantina, dinamica e varia del punto di vista delle referenze e della loro provenienza, dove i grandi classici affiancano nomi nuovi dal buon potenziale futuro. Una collezione, dunque, che acquisisce valore nel tempo e nel suo insieme e pensata per un fine personale, senza magari escludere l’opportunità di una buona vendita al momento giusto. Se questi sono gli identikit di chi investe in vino, possiamo dire che anche il vino pregiato ne ha uno.
Esistono, infatti, alcuni parametri che determinano il suo valore economico: dalle annate che hanno ottenuto punteggi elevati alle edizioni speciali o “a tiratura limitata”, passando per i cosiddetti formati speciali, come magnum o doppio magnum dalle produzioni contenute e numerate.
Per quanto riguarda, invece, le etichette, le grandi icone – come i Premier Cru Classé di Bordeaux, i Grand Cru di Borgogna o i nostri Barolo e Supertuscan – rimangono tali e sono pressoché inscalfibili ma, come certifica l’ultima edizione della classifica del Liv-ex, il panorama è in costante evoluzione con una grande crescita proprio dei fine wines italiani e di una nuova generazione di vini californiani ma anche tedeschi, cileni e australiani che nei nei rapporti – punto di riferimento per il mercato secondario – hanno dimostrato ottime perfomance.
Ciò che determina queste evoluzioni non è semplicemente la normale crescita qualitativa delle cantine o il naturale evolvere del gusto ma anche e soprattutto l’andamento della critica internazionale: personaggi influenti come James Suckling e Robert Parker, con le loro valutazioni, da decenni non solo aprono la strada a nuove tendenze, ma orientano a tutti gli effetti l’andamento del mercato.
In Italia uno degli esempi più evidenti è rappresentato dalle vicende recenti di Montalcino, qui nell’ultimo decennio il lavoro serio e tenace di diverse aziende per alzare il livello qualitativo del loro Brunello ha dato i suoi frutti ed è stato premiato a livello internazionale, ma non bisogna dimenticare che senza l’innamoramento di Suckling per il borgo e il suo vino più celebre probabilmente alcune cantine, più o meno note, non avrebbero goduto dell’incredibile visibilità che hanno oggi.
Quando si parla di fine wines non si può prescindere dal canale di acquisto: il vino è “un alimento vivo” che va trattato con una serie di cautele, perché troppi passaggi di mano e una logistica poco accurata possono danneggiarne la qualità e il valore. Per questo, il consiglio migliore è sempre quello di acquistare direttamente in cantina oppure da professionisti che lavorano per assegnazione e per questo comprendono il valore economico ed enologico del vino e sono anche adeguatamente attrezzati per ridurre al minimo i rischi. Per gli stessi motivi, l’altro elemento fondamentale è lo stoccaggio: come vi abbiamo raccontato qualche tempo fa (link), la corretta conservazione del vino è un passaggio determinante per mantenerlo in ottime condizioni e assecondare tutto il suo potenziale evolutivo, tanto per poterlo consumare quanto per poter monetizzare il suo acquisto. Ci sono accorgimenti per costruire una cantina casalinga che sia adeguata alla conservazione, ma bisogna anche dire che raramente il contesto domestico, per quanto ben attrezzato, può rispettare tutte le condizioni ideali di stoccaggio. Proprio partendo da questa consapevolezza è nato, per esempio, il nostro servizio su richiesta e senza costi aggiuntivi, per conservare le bottiglie dei nostri clienti in condizioni ottimali, fino a quando lo vorranno.
Accanto al canale di acquisto e allo stoccaggio c’è un terzo fattore imprescindibile per chi vuole considerare la propria collezione di fine wines un investimento finanziario: il canale di vendita. Vendere privatamente implica la possibilità proporre prezzi più vantaggiosi e allettanti per chi acquista ma il limite è rappresentato dal fatto che ci si muove in un’area opaca, dove non ci sono regole ben definite e tutto dipende, in sostanza, dalla serietà delle due parti in causa e dalla loro capacità di creare una fiducia reciproca tale da permettere le negoziazioni. La soluzione migliore, dunque, è quella di guardare a realtà specializzate che, avendo accesso al mercato primario, non solo sono sempre aggiornate sugli andamenti del mercato e della critica, ma adottano anche policy tali da garantire venditore e acquirente.
Sono le stesse realtà professionali che aiutano a capire il giusto valore economico della bottiglia. La valutazione di un vino è qualcosa di complesso e in qualche misura aleatorio perché il prezzo lo fa il mercato – per esempio il già citato Liv-ex – ma parliamo di un mercato abituato a lavorare sui cosiddetti lotti vergini (le casse di legno chiuse e sigillate) e non su singole bottiglie e sempre nel rispetto delle condizioni di stoccaggio e logistica di cui abbiamo parlato poco fa. Il singolo venditore privato, quindi, si trova inevitabilmente in una condizione di svantaggio se decide di agire autonomamente, senza l’intervento di società specializzate che possano guidare la vendita nella maniera più appropriata e vantaggiosa. È quindi sempre utile – se non necessario – confrontarsi con realtà con esperienza e capacità negoziali e tecniche, per impostare al meglio la vendita o semplicemente per scambiare qualche opinione sulla propria cantina privata, ma anche per comprendere le dinamiche di un mercato sicuramente più complesso, variegato e sfaccettato di quanto possa sembrare a una prima osservazione.
Concludiamo rimandandovi al prossimo articolo del Magazine Winefully per i nostri consigli circa vini, annate e formati che riteniamo si prestino meglio a un acquisto o al collezionismo, con o senza fini di una eventuale futura rivendita.
– Redazione 07.10.2021