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Le bollicine: il Metodo Martinotti o Charmat
Alla fine del 1800, l’enologo piemontese Federico Martinotti mette a punto un metodo di spumantizzazione dai costi più contenuti e dai tempi di produzione più veloci rispetto al Metodo Classico.
L’idea di Martinotti è di far avvenire la seconda fermentazione dei vini base non in bottiglia ma in contenitori di acciaio inox sotto pressione (le autoclavi) a una temperatura controllata, semplificando così i passaggi e quindi riducendo tempi e costi.
Alcuni anni dopo, il metodo viene migliorato e brevettato dal francese Eugéne Charmat, diventando universalmente noto come Metodo Charmat. Comunque lo si voglia chiamare, questo metodo implica che, al termine della fermentazione, i vini base vengano assemblati, chiarificati, refrigerati e messi nell’autoclave e qui sottoposti alla rifermentazione con l’aggiunta di zuccheri, lieviti selezionati e sostanze minerali oppure di mosto congelato. L’autoclave viene poi chiusa e messa in condizioni isobariche per un periodo di tempo variabile, da un minimo di 30 giorni a un massimo di 80.
Al termine della seconda fermentazione, il vino viene filtrato e imbottigliato, sempre sotto pressione isobarica per non disperdere anidride carbonica.
Più si allunga la permanenza sui lieviti e più, come nel caso del Metodo Classico, si avranno vini complessi dal perlage più fine. Quando il tempo di permanenza supera i 9 mesi si parla di Metodo Charmat Lungo, che può prevedere anche aggiunta del liqueur d’expédition dopo la rifermentazione. Il Metodo Charmat è particolarmente adatto ai vitigni aromatici perché la rifermentazione in autoclave, essendo più rapida, ne preserva il profilo olfattivo e la fragranza che, invece, risulterebbero appesantiti dalla lunga permanenza sui lieviti tipica del Metodo Classico.
Proprio per questo motivo, gli spumanti dolci trovano nello Charmat (o Martinotti) il loro metodo di vinificazione ideale.
– Redazione 01.09.2020