The winefully Magazine
Piatti iconici e abbinamenti: il risotto alla milanese
Il profumo suadente e inconfondibile dello zafferano, la cremosità della mantecatura al burro che avvolge i chicchi di riso, la ricchezza umami data dalla generosa aggiunta di Parmigiano ma anche dal brodo di carne e volendo anche la grassezza avvolgente del midollo, che qualcuno ama aggiungere a fine cottura o fuori dal fuoco, già cotto a parte.
Il risotto alla milanese, o semplicemente risotto giallo allo zafferano, è un simbolo della cucina di casa delle grandi occasioni per la sua opulenza gustativa anticipata dal colore dorato dato dalla spezia, pur senza aggiungere la foglia d’oro come fece agli inizi degli anni ’80 il Maestro Gualtiero Marchesi rendendolo un’icona anche della nouvelle vague della cucina nostrana.
E se, secondo la leggenda, la sua origine sarebbe legata al Duomo di Milano – con l’apprendista Zafferano, grande amante e utilizzatore del color oro della spezia, che nel 1574 per ripicca finisce per metterla anche nel riso preparato in occasione delle nozze della figlia del maestro Valerio di Fiandra, artista fiammingo chiamato a realizzarne le magnifiche vetrate –, le prime menzioni della ricetta (con il riso però lessato, e non ancora cotto nel brodo) risalgono già al 1300. Mentre si deve aspettare l’800 per ritrovare delle preparazioni più vicine a quella che è stata codificata e tramandata ai giorni nostri, con il riso insaporito da grasso, midollo di bue, noce moscata, brodo e formaggio grattugiato. Il vino – ingrediente fondamentale per sgrassare e dare una lieve acidità al piatto – compare solo agli inizi del Novecento ad opera di Pellegrino Artusi, che propone appunto una variante della ricetta che utilizza il vino bianco, apprezzata da molti.
La preparazione del risotto giallo, più o meno canonica, entra di diritto nel novero dei grandi classici della cucina italiana e richiede una preparazione attenta fin nei minimi dettagli, a cominciare dalla scelta del riso che dovrebbe essere preferibilmente Carnaroli, o Vialone Nano, e dall’uso di zafferano in pistilli. Altrettanta cura, allora, richiede la scelta di cosa abbinarvi nel bicchiere.
Che si tratti della versione con o senza ossobuco, la scelta più indicata è senza dubbio un vino rosso di stoffa, sufficientemente maturo e di buon corpo ma con una sua eleganza, magari a base nebbiolo. Per esempio, il carattere intenso e i tannini vellutati del Gattinara Vigna Molsino di Nervi – il cui nome, in dialetto piemontese, significa “morbido” – potrebbe accompagnare egregiamente la versione “base” del piatto. Ottenuto da una vigna incastonata in un anfiteatro naturale ai piedi delle Alpi piemontesi, mostra al naso belle note floreali e di frutta rossa con qualche accenno speziato mentre in bocca è setoso, di grande beva, con un finale fruttato e incredibilmente sapido.
La presenza del midollo potrebbe invece far dirigere la scelta su un’etichetta altrettanto iconica e avvolgente come il Barolo Francia di Giacomo Conterno, un vero monumento di eleganza e fascino tutto piemontese. Al naso si avverte subito la sua complessità, con sentori di piccoli frutti rossi (qualcuno vi ritrova addirittura qualche accenno all’anguria) accompagnati da un profilo mentolato e minerale. In bocca è potente ed elegante allo stesso tempo, molto equilibrato, morbido ma con un finale sapido e fresco che invita al boccone successivo. ]L’alternativa un po’ fuori dai canoni potrebbe essere rappresentata da una bella bolla, con il perlage a contrastare in maniera piacevole la cremosità e la grassezza del risotto. In questo caso però il suggerimento è di puntare su un Blanc de Noirs o comunque su un vino con una base importante di Pinot Nero.
Si va di certo sul sicuro stappando una bottiglia di Dom Pérignon Vintage 2010 in cui si fondono freschezza, mineralità e avvolgenza, unite a una persistenza notevole. Frutto di un’annata resa difficile da piogge improvvise, in cui la maestria della Maison ha saputo preservare le caratteristiche del pinot noir che qui affianca lo chardonnay al 50%, è fresco al naso – con note di fiori e frutta tropicale – ma ricco e intenso al palato che viene accarezzato da note speziate e pepate e da un affascinante finale salino.
Ma andrà benissimo anche optare per un Franciacorta Docg come il Vintage Collection Dosage Zèro Noir 2011 di Ca’ del Bosco, Pinot Noir in purezza dal perlage finissimo e persistente e il sorso pieno ma dalla grande bevibilità con ricordi di erbe aromatiche e spezie e una nota leggermente fumé a completare il profilo di frutta tropicale e agrumi.
– Luciana Squadrilli 16.11.2021
Luciana Squadrilli è giornalista professionista specializzata nell’enogastronomia, collabora con guide e testate italiane e straniere raccontando il lato più buono dell’Italia (e non solo). Editor di Food&Wine Italia e food editor di Lonely Planet Magazine Italia, si occupa con particolare attenzione di pizza e olio, adora lo Champagne ed è autrice di diversi titoli tra cui La Buona Pizza (Giunti) e Pizza e Bolle (Edizioni Estemporanee).