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Piero Garbellotto: l’arte del bottaio oggi

L’arte del bottaio è uno dei mestieri più antichi del mondo, una pratica essenzialmente artigianale che si può imparare solo sul campo, osservando e lavorando il legno giorno dopo giorno. Abbiamo chiesto a Piero Garbellotto – che oggi guida l’azienda di famiglia, una delle più importanti del settore in Italia e non solo – come si fa questo lavoro e come sta cambiando in relazione alla contemporaneità.

Avete una storia secolare alle spalle, ci vuole raccontare quali sono stati i momenti fondamentali del percorso che vi ha portati fino a oggi?

La nostra storia inizia nel 1775 quando Giuseppe Garbellotto, un mio avo – ormai siamo all’ottava generazione di famiglia – apre una bottega artigiana a San Fior (Treviso). Li iniziano le prime realizzazioni di barili e botti ma lo spazio diventa presto troppo stretto così la famiglia decide di costruire una sede a Conegliano, poco distante dal centro storico.

Nel 1800 partono da Conegliano – con otto cavalli bianchi ungheresi – persino le botti per l’imperatore cinese; si tratta forse della prima spedizione al mondo di botti nella Cina dell’epoca. Nel 1900 cominciamo a lavorare anche per gli Stati Uniti grazie all’innovativo polo produttivo di Conegliano, trasferito dal centro alla circonvallazione. Uno stabilimento che ha subito le due guerre mondiali e per questo ha dovuto cessare per alcuni mesi la produzione. Sono 245 anni di lavoro e passione e continuiamo a guardare al futuro: alcuni mesi fa abbiamo inaugurato, a Sacile, la nostra nuova “casa”, che abbiamo voluto chiamare “Intelligenza Artigianale”.

Scorrendo il vostro sito, mi aveva colpita proprio il concetto di “intelligenza artigianale”. Dunque, le chiedo come un sapere artigiano come il vostro dialoga con le tecnologie contemporanee. E come è sta cambiando il vostro lavoro in relazione ad esse.

Da circa dieci anni collaboriamo con l’Università degli Studi di Udine per sviluppare innovazioni che aiutino sempre più i mastri bottai e di conseguenza gli enologi ed enotecnici. A Sacile lavorano tre linee con dei mini-robot che implementano la sicurezza, tagliano e refilano perfettamente il legno, sgravando della parte più dura del lavoro il bottaio, che così può concentrarsi maggiormente sulla selezione del legname, sul controllo visivo e sulla fase di collaudo.

Abbiamo, inoltre, all’attivo due brevetti, uno (Botti e Barriques NIR) che è in grado di selezionare l’aroma del rovere categorizzandolo e l’altro (Digital Toasting System) che consente di avere una piegatura e un’ottima tostatura delle barriques, senza sbalzi di temperatura. Sono brevetti che consentono agli enologi ed enotecnici di avere prodotti costruiti in base alle proprie esigenze e perfettamente replicabili nel tempo. Detto questo, nulla ad oggi è cambiato nelle fasi di lavorazione rispetto un tempo, la tecnologia è entrata in punta di piedi per aiutare l’uomo, che resta l’unico in grado di produrre le barriques, le botti e i tini di Garbellotto.

Selezione, stagionatura, tostatura dei legni come avvengono nel vostro processo produttivo? E quali sono le variabili che incidono maggiormente?

La selezione del legno avviene direttamente in foresta poi i tronchi raggiungono – dalla Francia, dalla Slavonia e da altri paesi europei – la nostra segheria di proprietà, dove vengono tagliati secondo gli storici tagli di quarto o a spacco. Una volta refilato il tavolame, la futura doga subisce il processo di stagionatura naturale che varia a seconda dei centimetri di spessore del legno.

Solo quando raggiunge una umidità, verificata e ritenuta consona dai nostri operatori, la tavola entra in produzione per passare sotto i raggi NIR (la tavola con contenuto aromatico “vegetale” viene scartata) per diventare effettivamente doga. La fase di produzione e la fase di tostatura del prodotto è essenziale per elevare all’ennesima potenza i contenuti aromatici del legno. Grazie al NIR, che elimina i legni con aromi sgradevoli, e al DTS che permette tostature a temperatura controllata dal tablet riusciamo a consegnare al cliente il prodotto desiderato.

Provando a semplificare al massimo, cosa fa di una botte una “buona botte”?

Per fare una “buona botte” ci vuole tanta, tanta passione, amore per il mestiere di mastro bottaio e tanta professionalità. La tecnologia incide in piccola quantità sul prodotto, è l’uomo l’unico indiscusso valore aggiunto della nostra azienda e di tutte le altre aziende artigiane italiane.

Restando su questo tema, quali sono le caratteristiche di un bravo bottaio?

Nella nostra azienda, composta da una settantina di persone abbiamo circa quaranta mastri bottai. Operatori unici che hanno imparato sul campo come costruire una botte. Non c’è scuola al mondo, infatti, che insegni la costruzione di una barrique o di una botte. Come dicevo prima, ci vuole tanta passione e poi conoscenza acquisita sul campo… magari dal padre o dal nonno. Cito questo esempio perché abbiamo avuto in azienda tre generazioni di collaboratori: Moreno (il figlio) ha ricevuto e continua a ricevere gli insegnamenti dal padre Maurizio, che lavora ancora con noi e che è entrato alla Garbellotto grazie al padre, che era uno nostro collaboratore.

Nella scelta della botte più adatta a un vino, quanto conta la visione dell’enologo? E quanto gli altri fattori?

La visione dell’enologo è fondamentale. Quando un enologo acquista una barrique o una botte ha già in mente il proprio percorso imprenditoriale, il proprio marchio, il proprio vino frutto dell’invecchiamento. Nella maggior parte dei casi, i produttori, dunque, arrivano da noi già con le idee ben chiare anche se vogliono sempre sperimentare, capire come le tecnologie stanno migliorando l’intero comparto. E qui entrano in gioco la selezione del legno e i brevetti NIR e DTS, che hanno spesso un ruolo chiave nella scelta finale.

Come sta evolvendo il mercato, ovvero quali sono le tendenze attuali: ci sono tipologie di botte più richieste ora? Avete visto un mutamento in questo senso in relazione anche a un mutamento delle aspettative dei consumatori rispetto al vino?

Ora i produttori tendono a scegliere i legni NIR, selezionati dal nostro raggio infrarossi e suddivisi per categorie aromatiche ma abbiamo anche notato l’aumento delle richieste di tostatura meno marcata, media o leggero-media. Anche all’estero stanno seguendo pian piano questo andamento italiano e lo considero un segno dell’importanza della nostra cultura agroalimentare fuori dai nostri confini.

Il bottaio è sicuramente un lavoro affascinante e negli ultimi anni abbiamo anche assistito a una nuova riscoperta (finalmente) dei lavori artigiani. I giovani come guardano a questo lavoro, ce ne nella vostra azienda?

Recentemente, anche per dar fiato ai nostri esperti più anziani, abbiamo attivato un piano per giungere a un ricambio generazionale, sempre tenendo in considerazione la difficolta di formare nuovo personale. “Fare il bottaio” non è semplice. Ci vuole passione, come dicevo, ma per diventare un vero e proprio mastro bottaio servono anni di esperienza sul campo.

Negli ultimi tre anni abbiamo assunto almeno cinque giovani per avere tra tre o quattro anni operatori specializzati, veri mastri bottai in grado di produrre in autonomia una barrique o una botte. I giovani che abbiamo scelto sono ancora con noi, mi sembra un bel segno di vitalità e del fatto che c’è ancora voglia di imparare l’artigianalità di questo mestiere antico.

Immagino che nel tempo abbiate realizzato tanti progetti importanti e complessi ma le chiedo se ne esiste uno (o più di uno) che ricorda con particolare piacere.

Ricordo con piacere quella che, diciamo, è una nota di colore nel nostro mestiere ma che è anche un orgoglio aziendale: la realizzazione nel 2010 della botte più grande al mondo.

Oltre 5000 chili di rovere per un volume complessivo di 40 mc e una capienza di 33.300 litri che ci sono valsi il primo Guinness World Record. Dico primo perché poi, nel 2013, ne abbiamo ottenuto un altro arrivando ad oltre 40.000 litri. Erano due botti giganti, entrambe per il Valpolicella, ma anche il mondo dell’aceto ci ha commissionato lavori di una certa imponenza. Per un’acetaia di Modena, infatti, abbiamo realizzato un tino alto 8 metri e dal diametro di 7, per una capacità di 2.741 hl. Non a caso è stato soprannominato Hercules.

Redazione 17.11.2020