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Vini di vulcano: un viaggio verso il centro della terra

L’Italia, nella sua estrema ricchezza in termini di biodiversità, presenta un mosaico complesso anche per quanto riguarda i vini da terreni vulcanici. Se di primo acchito, infatti, il pensiero va subito ai più grandi vulcani attivi come Etna e Vesuvio, la verità è che la mappa è ben più variegata. Basti pensare alla zona di Soave, conosciuta per la produzione di vini bianchi. Garganega e Trebbiano di Soave, i principali vitigni, raggiungono i propri vertici qualitativi anche grazie ai terreni di matrice vulcanica che caratterizzano queste terre. Lo stesso vale per la denominazione Lessini Durello, posizionata tra le colline a nord delle provincie di Verona e Vicenza, dove l’impronta dei suoli tufacei permette alla Durella di esprimersi in modo unico soprattutto negli spumanti. Gambellara e Colli Euganei sono altre due denominazioni dove il timbro vulcanico guida lo stile dei vini più importanti, e anche allontanandoci dal Veneto non mancano le zone caratterizzate in questo senso. Tra queste l’area intorno a Orvieto, quella di Montefiascone, nell’Alta Tuscia, o la doc Bianco di Pitigliano, nella Maremma toscana. E ancora i Campi Flegrei vicino a Napoli, Ischia e gli arcipelaghi della Sicilia.

Difficile, in un collage così composito, tracciare delle direttrici univoche, tuttavia i vini di vulcano tratteggiano alcune inclinazioni che in qualche modo li accomunano. Come evidenzia John Szabo nel suo libro “Volcanic Wines”, la tendenza sembra essere quella di mettere in evidenza maggiormente il corredo di durezze rispetto a quello delle morbidezze.

Grande freschezza, dunque, spiccata sapidità, e notevole mineralità, che si esprime ad esempio con sentori di pietra focaia. Quasi come se il vino fosse proteso nello sforzo di raccontare i vulcani da cui nasce, le loro rocce e la loro natura: collegare il mondo agli strati più profondi del pianeta.

Tra le zone vulcaniche l’Etna rappresenta certamente il caso più emblematico, sia per la ricchezza di stili ed espressioni, sia per l’attenzione che ha ricevuto negli ultimi vent’anni. Intanto è importante sottolineare che non esiste un Etna ma tanti Etna. Non solo la zona si distingue dal resto della Sicilia per clima e condizioni generali; le differenze sono notevoli anche tra le diverse aree del vulcano, con svariati fattori a incidere sulle loro caratteristiche tra cui altimetria e vicinanza al mare. Come minimo è utile suddividere l’Etna nei suoi tre versanti principali. Il versante Sud, punteggiato da vigneti che in certe contrade arrivano a superare i 1.000 metri di altitudine. Il versante Nord, dove nascono i rossi più noti, tra cui quelli prodotti con il nobile Nerello Mascalese. E il versante Est, affacciato sullo Ionio, dove prospera il Carricante e nascono i migliori bianchi dell’Etna, caratterizzati da un intreccio sorprendente di finezza e freschezza.

Uno dei nomi di spicco per la riscoperta dell’Etna è quello di Salvo Foti, grande esperto e conoscitore della zona, autore di diversi libri tra cui “Etna, i vini del vulcano”, “La Sicilia del Vino” e “La Montagna di fuoco”. Alla fine degli anni Novanta è proprio Foti, insieme a Giuseppe Benanti, a far esplodere la riscoperta dell’Etna vinicolo con Pietra Marina.

Un vino iconico, che nasce da uve Carricante e che con la versione 1999 innesca una vera e propria rivoluzione. La reazione della critica enologica infatti è unanime: Pietra Marina ottiene i massimi riconoscimenti e catalizza l’attenzione intorno al vulcano più alto d’Europa. Il livello eccellente si conferma con il passare degli anni e il vino di punta di casa Benanti continua a toccare vertici di qualità assoluta fino ad arrivare ai nostri giorni. Pietra Marina nasce nel comune di Milo, in Contrada Rinazzo, caratterizzata da un’eccellente esposizione, una ventilazione ottimale e un’altitudine di 800 metri sul livello del mare. Da qui le importanti escursioni termiche, ideali soprattutto per la coltivazione dei vitigni a bacca bianca. Il mare è poco distante, per questo qui piove di più. I terreni, naturalmente di matrice vulcanica, hanno conformazione sabbiosa e si caratterizzano per la ricchezza di sostanza minerali. Le viti, allevate ad alberello, arrivano fino a novant’anni di età.

Pietra Marina trascorre almeno 24 mesi sulle proprie fecce nobili in acciaio, con frequenti bâtonnages, seguiti da 12 mesi di bottiglia. Nella versione 2016, prima ancora che l’olfatto, colpisce lo sguardo con una splendida luminosità. Il naso apre elegante con un intreccio di fiori bianchi, agrumi e mela verde. Al palato i sentori sono freschi, tesi, affilati. Iodio, ribes, poi la conferma degli agrumi con sensazioni di limone e cedro. La sapidità guida un allungo che si mostra sorprendentemente dinamico, con la succosità sferzante che si alterna ai sentori minerali di pietra focaia. Uno slancio gustativo dove l’immediatezza del sorso cede il passo a una complessità affascinante, una profondità tutta da scoprire. La stessa profondità che contraddistingue questa terra, il vulcano, testimonianza terrestre di quanto si possa andare oltre la superficie per esplorare strati sempre più nascosti. Come in un viaggio verso il centro della terra.

di Graziano Nani 04.05.2021

Quindici anni in comunicazione, oggi Graziano Nani è Direttore Creativo di Doing. Sommelier Ais, scrive per Intravino e Vertigo Magazine, parte del network Passione Gourmet. Su Instagram è #HellOfaWine, dedicato alle eccellenze enologiche. Il suo wine blog è gutin.it, mescola storie e illustrazioni. Ama anche la cucina: racconta chef e vini del cuore con degustazioni a tema.